Norma un secolo prima di Cecilia Bartoli. Confessiamo: era un pensiero che a prescindere dall’improvvido approdo della diva ci incuriosiva e proprio con quella data 1910, perché il 1910 sancisce la transizione fra canto ottocentesco e canto verista. Da quella data in poi il filone del canto ottocentesco sarà, anche se costante, sotterraneo, predominate quello verista.
Canto verista, che influenzerà Norma, senza, però, a differenza di altri titoli espellerla mai dal repertorio. I contrasti della sacerdotessa fedifraga, amante tradita e madre sono troppo per non attirare le prime donne di ogni epoca; con qualche patteggiamento la parte può anche stare a cantanti che con il belcanto hanno rapporti diciamo conflittuali, purchè interpreti nel senso completo del termine.
1910 perché l’anno prima aveva dato l’addio all’opera in teatro quella che può ritenersi, dalle testimonianze discografiche la Norma dell’800 per antonomasia, Lilli Lehmann. Tanto era stata la sua grandezza nel ruolo cantato sia in italiano che in tedesco che il teatro Metropolitan (dove la Lehmann fu protagonista del titolo nel 1895) attese ben trent’anni e Rosa Ponselle per riproporlo.
Le registrazioni della cantante di Wurzburg fanno i conti con due aspetti: i 58 annidi età e la tecnica di registrazione. Eppure sono straordinarie. Qui non vogliamo considerare l’esecuzione ma la tecnica di canto e la aderenza al momento musicale, che giustificano la frase “Maria Callas non ha inventato nulla, c’era stata Lilli Lehmann“ e che danno a chi ritiene la codificazione di Garcia la codificazione della tecnica di canto la prova irrefutabile che le Norme di rango e di levatura storica hanno sempre cantato come le censurate Callas e Sutherland.
Basta sentire la facilità e la saldezza con cui una cantante affronta il primo passaggio di registro nell’incipit della cavatina, piuttosto che la facilità con cui sale ai la ribattuti della seconda sezione dell’aria ed in generale il senso di liquidità del suono e di galleggiamento sul fiato che sono le caratteristiche del canto di scuola. All’epoca della Lehmann come a quella di Callas e più ancora di Sutherland. E l’effetto vocale ed interpretativo si ripete alla cadenza dove la voce tocca senza sforzo il si nat acuto e scende con una scala assolutamente perfetta perché il suono nella discesa non subisce incertezze o manomissioni di sorta.
Questa è la rappresentazione del cantante che canta con la tecnica ottocentesca e questa è, mi sia consentita la franchezza, la dimostrazione che tutto il resto sono chiacchiere e fanfaronate compre ed interessate e che in quanto tali fanno danno, e che danno, al mondo del canto.
Una Margarethe Siems, Adalgisa proprio con la Lehmann e poi, Norma aveva davanti un modello che le consentì di navigare per vent’anni fra Crisotemide e Lucia, Norma e Philine.
Oggi il modello della giovane cantante, che ascolta l’ultima diva nei panni di Norma, le consentirebbe se dotata in natura un paio di stagioni.
La Lehmann resta la più completa esemplificazione di quello che per un secolo si era indicato come soprano drammatico di agilità, categoria cui dovevano appartenere le titolari di Norma.
A questa categorie appartengono almeno due delle Norme che proprio nell’anno di grazia 1910 erano accreditate e considerate esecutrici della sacerdotessa di Irminsul ossia Giannina Russ e Celestina Boninsegna. Cantanti soprattutto di carriera italiana e quanto alla Russ discograficamente piuttosto limitata. Molto più numerose le registrazioni della Boninsegna perché la cantante reggiana era, a differenza di quasi tutti i soprani spinti, straordinariamente fonogenica.
Anche in questi due casi colpisce il controllo del suono e la posizione costantemente “alta” dello stesso. Le esecuzioni della Russ e della Boninsegna della cavatina hanno una purezza di suono ed una proiezione, che rendono chiaro un altro dei criteri che erano esemplificativi del giudicare le voci di qualità e di scuola ossia che a mano a mano che la voce sale, quando impostata, assume una ampiezza ed una espansione interdetta a chi canti male, indietro ed in bocca. Sentire la facilità particolarmente della Russ, che nell’esecuzione della fiorettature è precisissima, o la Boninsegna che si prende, pure il lusso di inserire alla ripetizione (omettendo, però, parte delle fiorettature) un paio di puntature al si bemolle che la tradizione vuole (le eseguirà anche Rosa Raisa, cantante di assoluta discendenza belcantistica, credo la vera allieva di Barbara Marchisio) derivare direttamente dalla Grisi.
Le stesse osservazioni valgono per l’esecuzione della cabaletta che è fluida e scorrevole. La Boninsegna ricorre ad un paio di varianti, che dovevano essere di larga diffusione in quanto le propone anche Marcella Sembrich, che mai cantò l’intero ruolo. Nei duetti con Virginia Guerrini si sente perfettamente la differenza fra una cantante la Russ di scuola ancora ottocentesca ed una invece che inclina già a gusto e tecnica di impianto verista.
L’impianto verista ossia la transizione verso un canto e soprattutto una idea interpretativa che sente i tempi nuovi è di una certa evidenza in Ester Mazzoleni, Tina Poli Randaccio e soprattutto Eugenia Burzio.
Secondo una certa idea è l’inizio del verismo ove con verismo si intenda una esecuzione sciatta e incline al facile effetto.
Siamo in un’epoca di revisione e di ripensamento soprattutto alla luce di quanto ci viene regolarmente servito nei nostri teatri e il giudizio su queste cantanti è per forza di cose modificato o rivisto.
Nessuna di loro può competere con una Russ o una Siems nell’esecuzione del canto di agilità. La cabaletta di Eugenia Burzio per comune giudizio la patronessa del Verismo non è quella della Sutherland, ma ci sono accorgimenti come il suono addolcito, alleggerito e l’accento castigato, che contraddicono o almeno pongono seri dubbi sul malcanto tout court di questa cantante. Evidentemente persino ad una Burzio, fra l’altro eloquente e misurata nel “Dormono entrambi” non sfuggiva che a Norma, pur al centro di una tragedia, non si addicevano gli accenti di Santuzza o di Gioconda E le stesse argomentazioni possono valere per Ester Mazzoleni nella sezione conclusiva del duetto con Zenatello ricorre anche a qualche compromesso, ma rende il senso del dramma della sacerdotessa alle prese con l'ultimo disperato ricatto dove “mette sul piatto” figli ed amante. Peccato veniale rispetto a quanto sentiamo oggi. Al nostro gusto creano più problemi certi suoni di petto e certi scarti fra suoni bassi e suoni centrali, che suonano piuttosto vuoti e che abbiamo codificato come paradigma e vizio capitale dei soprani veristi.
Inutile negarli ci sono anche se in Norma sia pur meno accentuati che nei titoli del tardo Verdi o Veristi. Non erano, se ascoltiamo la Lehmann, un’invenzione della signorina Burzio o della signora Poli Randaccio (che sia detto se non avesse saputo cantare difficilmente avrebbe avuto quasi trent’anni di carriera), erano anche messi in una posizione ben più alta della maschera di quanto non facciamo oggi certe cantanti che, tecnicamente insipienti, si sono messe a riproporli al pubblico senza l’accento irresistibile di una Burzio. Erano il gusto del tempo, ma la domanda che mi faccio e che faccio è meglio certi fastidiosi “scarti” e cattive saldature fra i registri di Eugenia Burzio o la Barbarina vestita da Norma?
Vincenzo Bellini
Norma
Atto I
Ite sul colle, o Druidi - Feodor Chaliapin (1905), José Mardones (1924)
Meco all'altar di Venere - Erik Schmedes (1905), Carlo Albani (1910)
Casta Diva...Ah! Bello a me ritorna - Celestina Boninsegna (1904), Giannina Russ (1906/1914), Lilli Lehmann (1907), Marcella Sembrich (1907), Eugenia Burzio (1912)
Sgombra è la sacra selva - Armida Parsi-Pettinella (1907)
Sola, furtiva al tempio - Giannina Russ & Virginia Guerrini (1914)
Ah! Sì, fa core, abbracciami - Lilli Lehmann (1907)
Atto II
Dormono entrambi - Ester Mazzoleni (1911)
Deh! Con te li prendi...Mira, o Norma...Sì fino all'ore estreme - Lilli Lehmann & Hedwig Helbig (1907), Elise Elizza & Grete Forst (1908), Margarethe Siems & Gertrud Forstel (1908), Giannina Russ & Virginia Guerrini (1914)
In mia man alfin tu sei - Ester Mazzoleni & Giovanni Zenatello (1911)
Qual cor tradisti - Eugenia Burzio (1912)
Deh! Non volerli vittime - Lilli Lehmann (1907), Eugenia Burzio (1912), Tina Poli-Randaccio (con R. Bosacacci & Ezio Pinza - 1923)
Canto verista, che influenzerà Norma, senza, però, a differenza di altri titoli espellerla mai dal repertorio. I contrasti della sacerdotessa fedifraga, amante tradita e madre sono troppo per non attirare le prime donne di ogni epoca; con qualche patteggiamento la parte può anche stare a cantanti che con il belcanto hanno rapporti diciamo conflittuali, purchè interpreti nel senso completo del termine.
1910 perché l’anno prima aveva dato l’addio all’opera in teatro quella che può ritenersi, dalle testimonianze discografiche la Norma dell’800 per antonomasia, Lilli Lehmann. Tanto era stata la sua grandezza nel ruolo cantato sia in italiano che in tedesco che il teatro Metropolitan (dove la Lehmann fu protagonista del titolo nel 1895) attese ben trent’anni e Rosa Ponselle per riproporlo.
Le registrazioni della cantante di Wurzburg fanno i conti con due aspetti: i 58 annidi età e la tecnica di registrazione. Eppure sono straordinarie. Qui non vogliamo considerare l’esecuzione ma la tecnica di canto e la aderenza al momento musicale, che giustificano la frase “Maria Callas non ha inventato nulla, c’era stata Lilli Lehmann“ e che danno a chi ritiene la codificazione di Garcia la codificazione della tecnica di canto la prova irrefutabile che le Norme di rango e di levatura storica hanno sempre cantato come le censurate Callas e Sutherland.
Basta sentire la facilità e la saldezza con cui una cantante affronta il primo passaggio di registro nell’incipit della cavatina, piuttosto che la facilità con cui sale ai la ribattuti della seconda sezione dell’aria ed in generale il senso di liquidità del suono e di galleggiamento sul fiato che sono le caratteristiche del canto di scuola. All’epoca della Lehmann come a quella di Callas e più ancora di Sutherland. E l’effetto vocale ed interpretativo si ripete alla cadenza dove la voce tocca senza sforzo il si nat acuto e scende con una scala assolutamente perfetta perché il suono nella discesa non subisce incertezze o manomissioni di sorta.
Questa è la rappresentazione del cantante che canta con la tecnica ottocentesca e questa è, mi sia consentita la franchezza, la dimostrazione che tutto il resto sono chiacchiere e fanfaronate compre ed interessate e che in quanto tali fanno danno, e che danno, al mondo del canto.
Una Margarethe Siems, Adalgisa proprio con la Lehmann e poi, Norma aveva davanti un modello che le consentì di navigare per vent’anni fra Crisotemide e Lucia, Norma e Philine.
Oggi il modello della giovane cantante, che ascolta l’ultima diva nei panni di Norma, le consentirebbe se dotata in natura un paio di stagioni.
La Lehmann resta la più completa esemplificazione di quello che per un secolo si era indicato come soprano drammatico di agilità, categoria cui dovevano appartenere le titolari di Norma.
A questa categorie appartengono almeno due delle Norme che proprio nell’anno di grazia 1910 erano accreditate e considerate esecutrici della sacerdotessa di Irminsul ossia Giannina Russ e Celestina Boninsegna. Cantanti soprattutto di carriera italiana e quanto alla Russ discograficamente piuttosto limitata. Molto più numerose le registrazioni della Boninsegna perché la cantante reggiana era, a differenza di quasi tutti i soprani spinti, straordinariamente fonogenica.
Anche in questi due casi colpisce il controllo del suono e la posizione costantemente “alta” dello stesso. Le esecuzioni della Russ e della Boninsegna della cavatina hanno una purezza di suono ed una proiezione, che rendono chiaro un altro dei criteri che erano esemplificativi del giudicare le voci di qualità e di scuola ossia che a mano a mano che la voce sale, quando impostata, assume una ampiezza ed una espansione interdetta a chi canti male, indietro ed in bocca. Sentire la facilità particolarmente della Russ, che nell’esecuzione della fiorettature è precisissima, o la Boninsegna che si prende, pure il lusso di inserire alla ripetizione (omettendo, però, parte delle fiorettature) un paio di puntature al si bemolle che la tradizione vuole (le eseguirà anche Rosa Raisa, cantante di assoluta discendenza belcantistica, credo la vera allieva di Barbara Marchisio) derivare direttamente dalla Grisi.
Le stesse osservazioni valgono per l’esecuzione della cabaletta che è fluida e scorrevole. La Boninsegna ricorre ad un paio di varianti, che dovevano essere di larga diffusione in quanto le propone anche Marcella Sembrich, che mai cantò l’intero ruolo. Nei duetti con Virginia Guerrini si sente perfettamente la differenza fra una cantante la Russ di scuola ancora ottocentesca ed una invece che inclina già a gusto e tecnica di impianto verista.
L’impianto verista ossia la transizione verso un canto e soprattutto una idea interpretativa che sente i tempi nuovi è di una certa evidenza in Ester Mazzoleni, Tina Poli Randaccio e soprattutto Eugenia Burzio.
Secondo una certa idea è l’inizio del verismo ove con verismo si intenda una esecuzione sciatta e incline al facile effetto.
Siamo in un’epoca di revisione e di ripensamento soprattutto alla luce di quanto ci viene regolarmente servito nei nostri teatri e il giudizio su queste cantanti è per forza di cose modificato o rivisto.
Nessuna di loro può competere con una Russ o una Siems nell’esecuzione del canto di agilità. La cabaletta di Eugenia Burzio per comune giudizio la patronessa del Verismo non è quella della Sutherland, ma ci sono accorgimenti come il suono addolcito, alleggerito e l’accento castigato, che contraddicono o almeno pongono seri dubbi sul malcanto tout court di questa cantante. Evidentemente persino ad una Burzio, fra l’altro eloquente e misurata nel “Dormono entrambi” non sfuggiva che a Norma, pur al centro di una tragedia, non si addicevano gli accenti di Santuzza o di Gioconda E le stesse argomentazioni possono valere per Ester Mazzoleni nella sezione conclusiva del duetto con Zenatello ricorre anche a qualche compromesso, ma rende il senso del dramma della sacerdotessa alle prese con l'ultimo disperato ricatto dove “mette sul piatto” figli ed amante. Peccato veniale rispetto a quanto sentiamo oggi. Al nostro gusto creano più problemi certi suoni di petto e certi scarti fra suoni bassi e suoni centrali, che suonano piuttosto vuoti e che abbiamo codificato come paradigma e vizio capitale dei soprani veristi.
Inutile negarli ci sono anche se in Norma sia pur meno accentuati che nei titoli del tardo Verdi o Veristi. Non erano, se ascoltiamo la Lehmann, un’invenzione della signorina Burzio o della signora Poli Randaccio (che sia detto se non avesse saputo cantare difficilmente avrebbe avuto quasi trent’anni di carriera), erano anche messi in una posizione ben più alta della maschera di quanto non facciamo oggi certe cantanti che, tecnicamente insipienti, si sono messe a riproporli al pubblico senza l’accento irresistibile di una Burzio. Erano il gusto del tempo, ma la domanda che mi faccio e che faccio è meglio certi fastidiosi “scarti” e cattive saldature fra i registri di Eugenia Burzio o la Barbarina vestita da Norma?
Vincenzo Bellini
Norma
Atto I
Ite sul colle, o Druidi - Feodor Chaliapin (1905), José Mardones (1924)
Meco all'altar di Venere - Erik Schmedes (1905), Carlo Albani (1910)
Casta Diva...Ah! Bello a me ritorna - Celestina Boninsegna (1904), Giannina Russ (1906/1914), Lilli Lehmann (1907), Marcella Sembrich (1907), Eugenia Burzio (1912)
Sgombra è la sacra selva - Armida Parsi-Pettinella (1907)
Sola, furtiva al tempio - Giannina Russ & Virginia Guerrini (1914)
Ah! Sì, fa core, abbracciami - Lilli Lehmann (1907)
Atto II
Dormono entrambi - Ester Mazzoleni (1911)
Deh! Con te li prendi...Mira, o Norma...Sì fino all'ore estreme - Lilli Lehmann & Hedwig Helbig (1907), Elise Elizza & Grete Forst (1908), Margarethe Siems & Gertrud Forstel (1908), Giannina Russ & Virginia Guerrini (1914)
In mia man alfin tu sei - Ester Mazzoleni & Giovanni Zenatello (1911)
Qual cor tradisti - Eugenia Burzio (1912)
Deh! Non volerli vittime - Lilli Lehmann (1907), Eugenia Burzio (1912), Tina Poli-Randaccio (con R. Bosacacci & Ezio Pinza - 1923)
5 commenti:
post interessante e ascolti meravigliosi: ma chi era già quella che ha cantato Norma l'altra sera in Germania? ;-)
E' vero... è una Barbarina, non è neanche una Zerlina... Grazie della meravigliosa analisi storica e degli ascolti.
Straordinaria la Lehmann... Senza parole!!!
La Lehmann... chissa' com'era la sua Zerlina?
caro scattare
credo che nonostante le 170 parti in repertorio frau lehmann non abbia mai cantato zerlina. credo però al met quando la lehmann cantava donna anna, zerlina si chiamava solo marcella sembrich. Sai era epoca di barbarie ed abusi dei cantanti!!!!
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