Respirano i milanesi alla vista del cartellone oggi pubblicato dal Teatro alla Scala per la stagione 2010-2011. Potranno abbonarsi senza sentirsi in “terra estranea”, per dirla con Radames, dato che ritorna ad essere presente il cosiddetto “repertorio”, unitamente a titoli attraenti meno frequenti e, naturalmente, qualche sprazzo di colonialismo culturale esterofilo Lissner-style.
Molte new productions e scelte vocali variabili, dal razionale all’assurdo, di certo condizionate dall’assoluta carestia di voci e talenti, che rende ormai impossibile un progetto di stagioni liriche indenne da mende e buchi. Siamo nel deserto e tirare sù il sipario è sempre più dura, anzi durissima. A fianco di certa qualità indiscutibile vi è ancora ancora troppa tedescaggine, di cui far piazza pulita, a favore del canto sanamente all'italiana.
Ma diamo un‘occhiata veloce, riflettendo sui dati salienti.
1) Ridotta al minimo la presenza del maestro Baremboim nella stagione lirica, di fatto la sola Walkiria del recente inaugurato Ring. Lui si dà al balletto e noi tiriamo un sospiro di sollievo nel non vedergli affidato il repertorio italiano, anche se non possiamo fare a meno di rilevare la permanenza del suo cospicuo indotto berlinese sia in fatto di cantanti che di direttori. Ben due dei pupilli del maestro alzeranno la loro bacchetta al Piemarini, Omer Meir Wellber al posto del dimissionario Gatti in Tosca, e Philippe Jordan, figlio di Armin, nonché “Principal Guest Conductor at the Staatsoper unter den Linden”: vedremo come se la caveranno. In compenso il Maestro suonerà in stagione concertistica quale solista. Walkiria ha un cast di lusso sulla carta, ma che lascia perplessi sia per la senescenza anagrafica e vocale di Fricka, Wotan e Hunding, che per l’inadeguatezza del soprano drammatico protagonista, che ha recentemente stentato ad avere il mezzo idoneo per il solo primo atto quale Sieglinde. Inoltre Cassier non è Cheréau, e questo cast della scena non può fare a meno.
2) Vedremo il bravo Harding alle prese con Cavalleria e Pagliacci, ed un cast di solisti acciaccati assai, per un verso o per un altro. Sarà in compagnia di Martone, che ha tutto per fare un bello spettacolo. Misureremo finalmente il polso melodrammatico e l’attitudine per l’opera italiana del giovane direttore alle prese con il paradigma del verismo rusticano di Mascagni e Leoncavallo, come pure la sua capacità di “portare a casa” una truppa vocalmente male in arnese. Le signore D’Intino e Cornetti forse potranno metterci un utile quid di esperienza ed intelligenza ad incerottarsi qua e là, e non posso fare a meno di rammaricarmi per il tardivo debutto di quest'ultima, perché cantante che meritava di essere chiamata nel pieno delle sue notevoli capacità vocali. Quanto agli uomini….chissà che accadrà….ma, Caravaggio è ancora un gran santuario! E non è il solo nell'area cittadina e circumvicina Milano.
3) Nella dispendiosa politica di nuovi allestimenti ( 10 ne annuncia orgogliosamente il programma ) spiccano l’oscena Tosca newyorkese di Bondy e lo spreco per i nuovi allestimenti di Turandot ed Attila, pure un nuovo Flauto e una novella Morte a Venezia, che difficilmente vedranno riprese a breve. Bastava la vicenda dell’Idomeneo per infilare Bondy in una navicella e lanciarlo nello spazio assieme al suo pattume, ed invece no. La nostra Soprintendenza lo ama al punto da coprodurre con il Met quello che è stato uno degli aborti più clamorosi e contestati degli ultimi anni e di cui anche Milano dovrà proprio fregiarsi. Speriamo almeno che Franco Zeffirelli sia ancora in condizione di rilasciare qualcuna delle sue fantasmagoriche interviste su Bondy anche in occasione delle recite milanesi! Chissà se bisseremo poi le solite atmosfere rarefatte in blu oltremarino di Wilson in Monteverdi, che invece di occuparsi di esprimere gradimenti sui cantanti, farebbe bene a metter qualche elemento nuovo e magari anche dinamico nei suoi allestimenti seriali…. Cipressetti di Carducciana o cimiteriale memoria!
4) Le scelte di cast sono variabili. La Scala dà il meglio in un parco divi, alcuni realmente i migliori su piazza nei ruoli loro affidati, anche se l’esito sarà poi tutto da verificare. Oltre alle donne di Walkiria, spiccano i protagonisti de La Donna del Lago, che certo bisserà nel successo di pubblico quella di Muti anche se non l’esito musicale ed artistico; la presenza di Marcelo Alvarez, lussuoso Tenore italiano assieme a Francesco Meli nel Rosenkavalier, nonchè sprecato Foresto nella produzione “low profile” di Attila (avrebbe avuto maggior senso collocarlo sul Romeo di Romeo et Juliette, affidato invece alla operettistica voce e presenza di Vittorio Grigolo); Joyce Di Donato anche su Octavian, sempre che a furia di sfarfalleggiare bartolescamente Rossini, non si sia “mangiata” la sua piena voce di soprano lirico che la natura le ha dato. Al contrario, dà il peggio di sé quando progetta una produzione di Attila senza alcun senso, assente un vero grande basso, affidandosi ad un cantante senescente di cui, ormai, sta abusando da qualche anno in qua. La recente flagellazione di Furlanetto in Fiesco, nonché la presa d’atto di quanto la parte richieda in fatto di acuti, agilità e baldanzosa presenza scenica, per giunta di qui ad un anno, avrebbero consigliato di desistere anche all’ultimo minuto. Ricordiamo di una promessa e propagandata Norma, poi , prudenzialmente ritirata. Fu saggezza....indotta dl buco clamoroso di Macbeth. Si poteva presentare a milanesi il solo buon Ildar Adbrazakov, che al Met non ha svettato per oggettivi limiti del mezzo vocale, ma che ha, comunque, saputo reggere il ruolo. La produzione, poi, si perfeziona con la presenza di un baritono che l’eleganza non pare conoscerla affatto e di Micaela Carosi. Quest'ultima unitamente a Martina Serafin e Maria Guleghina concorre a formare il trio dei soprani spinti ,collocati rispettivamente su Tosca e Turandot, paragonabili, usando una metafora borsistica, ai bond argentini. La scelta della prima non trova giustificazioni di sorta, perché, stando alle sue condizioni vocali attuali, sarebbe già rischioso esibirla qui in Adriana o in Cheniér. La seconda è un “titolo” tuttora sopravvalutato, destinato a scendere a breve, stando a quanto ci ha fatto sentire in Manon a Venezia: avrà anche una grande voce, ma tra le durezze nell’emissione, gli acuti gridati ed il canto poco legato, la scelta mi pare poco felice ( si sentano i “Vissi d’arte” su Youtube). La terza, poi, è il prototipo della cantante di agenzia ormai alla fine, vista e stravista a Milano in condizioni vocali assai diverse, sebbene le ultime prove milanesi (Ballo e Tosca), abbiano lasciato un ricordo negativo e della cui riproposta non si sentiva affatto la necessità. Per stima ed affezione avremmo preferito che la Scala ci consentisse di omaggiare la signora Giovanna Casolla, cantate amatissima dal pubblico e a vero credito con questo teatro.
Non si può poi tacere l'ulteriore bond argentino, di recentissima emissione, della signora Oksana Dyka, che compare addirittura in due produzioni, Pagliacci in primo cast e secondo cast in Tosca ( ascoltare i miagolii del "Vissi d'arte" areniano su Youtube per credere!!!!) e la seconda Turandot dell'urlatrice Lise Lindstrom.
Sempre nelle proposte che portano la targa della grandi agenzie, spicca il Romeo et Juliette di Gounod, con il duo Machaidze - Grigolo. Il secondo sarebbe adatto al ruolo di tenore secondo in questo titolo, che vive della presenza di un grande protagonista maschile. La prima quale star pompatissima finalmente in un ruolo vero, se eseguito integralmente, e non da mezzo servizio come l'Adina di Elisir di questa stagione. Sulla stessa scia dei prodotti di agenzia, la presenza di Marco Berti quale Calaf, già criticato Don Josè areniano ma evidentemente irrinunciabile in questa produzione scaligera dal cast discutibile.
Numerose presenze assai poco conosciute, dai due soprani dell'Est scelti per Liù, alla Regina della Notte, al Sarastro e ad alcune parti secondarie del Flauto Magico, che come ha già commentato un nostro fido lettore nella chat, è degno della provincia tedesca...ma quella bruta. Per non parlare del pacchetto d'importazione dell'Arabella da Staatsoper Wien, sulla carta poco interessante.
5) Ultima nota sulle bacchette: grande interesse per Gergiev su Turandot, dal quale ci si aspetta moltissimo, e positivo il ritorno di Alessandrini su Monteverdi perchè bacchetta filologa poco baroccara e molto godibile.
6)I concerti di canto. Davvero una stagioncina! La Scala và sul “sicuramente attraente” laddove ci ripropone a distanza di tempo, davvero troppo breve, Florez e la Damrau, l’anziano Hampson e la novità Harteros. Di poco interesse la Kurzak, scelta a mio avviso inspiegabile, e la Kirchschlager ( vedremo se riusciranno a riempire metà teatro …), mentre serata “culturale” quella affidata al baritono Goerne. Insomma, poca cosa.
Molte new productions e scelte vocali variabili, dal razionale all’assurdo, di certo condizionate dall’assoluta carestia di voci e talenti, che rende ormai impossibile un progetto di stagioni liriche indenne da mende e buchi. Siamo nel deserto e tirare sù il sipario è sempre più dura, anzi durissima. A fianco di certa qualità indiscutibile vi è ancora ancora troppa tedescaggine, di cui far piazza pulita, a favore del canto sanamente all'italiana.
Ma diamo un‘occhiata veloce, riflettendo sui dati salienti.
1) Ridotta al minimo la presenza del maestro Baremboim nella stagione lirica, di fatto la sola Walkiria del recente inaugurato Ring. Lui si dà al balletto e noi tiriamo un sospiro di sollievo nel non vedergli affidato il repertorio italiano, anche se non possiamo fare a meno di rilevare la permanenza del suo cospicuo indotto berlinese sia in fatto di cantanti che di direttori. Ben due dei pupilli del maestro alzeranno la loro bacchetta al Piemarini, Omer Meir Wellber al posto del dimissionario Gatti in Tosca, e Philippe Jordan, figlio di Armin, nonché “Principal Guest Conductor at the Staatsoper unter den Linden”: vedremo come se la caveranno. In compenso il Maestro suonerà in stagione concertistica quale solista. Walkiria ha un cast di lusso sulla carta, ma che lascia perplessi sia per la senescenza anagrafica e vocale di Fricka, Wotan e Hunding, che per l’inadeguatezza del soprano drammatico protagonista, che ha recentemente stentato ad avere il mezzo idoneo per il solo primo atto quale Sieglinde. Inoltre Cassier non è Cheréau, e questo cast della scena non può fare a meno.
2) Vedremo il bravo Harding alle prese con Cavalleria e Pagliacci, ed un cast di solisti acciaccati assai, per un verso o per un altro. Sarà in compagnia di Martone, che ha tutto per fare un bello spettacolo. Misureremo finalmente il polso melodrammatico e l’attitudine per l’opera italiana del giovane direttore alle prese con il paradigma del verismo rusticano di Mascagni e Leoncavallo, come pure la sua capacità di “portare a casa” una truppa vocalmente male in arnese. Le signore D’Intino e Cornetti forse potranno metterci un utile quid di esperienza ed intelligenza ad incerottarsi qua e là, e non posso fare a meno di rammaricarmi per il tardivo debutto di quest'ultima, perché cantante che meritava di essere chiamata nel pieno delle sue notevoli capacità vocali. Quanto agli uomini….chissà che accadrà….ma, Caravaggio è ancora un gran santuario! E non è il solo nell'area cittadina e circumvicina Milano.
3) Nella dispendiosa politica di nuovi allestimenti ( 10 ne annuncia orgogliosamente il programma ) spiccano l’oscena Tosca newyorkese di Bondy e lo spreco per i nuovi allestimenti di Turandot ed Attila, pure un nuovo Flauto e una novella Morte a Venezia, che difficilmente vedranno riprese a breve. Bastava la vicenda dell’Idomeneo per infilare Bondy in una navicella e lanciarlo nello spazio assieme al suo pattume, ed invece no. La nostra Soprintendenza lo ama al punto da coprodurre con il Met quello che è stato uno degli aborti più clamorosi e contestati degli ultimi anni e di cui anche Milano dovrà proprio fregiarsi. Speriamo almeno che Franco Zeffirelli sia ancora in condizione di rilasciare qualcuna delle sue fantasmagoriche interviste su Bondy anche in occasione delle recite milanesi! Chissà se bisseremo poi le solite atmosfere rarefatte in blu oltremarino di Wilson in Monteverdi, che invece di occuparsi di esprimere gradimenti sui cantanti, farebbe bene a metter qualche elemento nuovo e magari anche dinamico nei suoi allestimenti seriali…. Cipressetti di Carducciana o cimiteriale memoria!
4) Le scelte di cast sono variabili. La Scala dà il meglio in un parco divi, alcuni realmente i migliori su piazza nei ruoli loro affidati, anche se l’esito sarà poi tutto da verificare. Oltre alle donne di Walkiria, spiccano i protagonisti de La Donna del Lago, che certo bisserà nel successo di pubblico quella di Muti anche se non l’esito musicale ed artistico; la presenza di Marcelo Alvarez, lussuoso Tenore italiano assieme a Francesco Meli nel Rosenkavalier, nonchè sprecato Foresto nella produzione “low profile” di Attila (avrebbe avuto maggior senso collocarlo sul Romeo di Romeo et Juliette, affidato invece alla operettistica voce e presenza di Vittorio Grigolo); Joyce Di Donato anche su Octavian, sempre che a furia di sfarfalleggiare bartolescamente Rossini, non si sia “mangiata” la sua piena voce di soprano lirico che la natura le ha dato. Al contrario, dà il peggio di sé quando progetta una produzione di Attila senza alcun senso, assente un vero grande basso, affidandosi ad un cantante senescente di cui, ormai, sta abusando da qualche anno in qua. La recente flagellazione di Furlanetto in Fiesco, nonché la presa d’atto di quanto la parte richieda in fatto di acuti, agilità e baldanzosa presenza scenica, per giunta di qui ad un anno, avrebbero consigliato di desistere anche all’ultimo minuto. Ricordiamo di una promessa e propagandata Norma, poi , prudenzialmente ritirata. Fu saggezza....indotta dl buco clamoroso di Macbeth. Si poteva presentare a milanesi il solo buon Ildar Adbrazakov, che al Met non ha svettato per oggettivi limiti del mezzo vocale, ma che ha, comunque, saputo reggere il ruolo. La produzione, poi, si perfeziona con la presenza di un baritono che l’eleganza non pare conoscerla affatto e di Micaela Carosi. Quest'ultima unitamente a Martina Serafin e Maria Guleghina concorre a formare il trio dei soprani spinti ,collocati rispettivamente su Tosca e Turandot, paragonabili, usando una metafora borsistica, ai bond argentini. La scelta della prima non trova giustificazioni di sorta, perché, stando alle sue condizioni vocali attuali, sarebbe già rischioso esibirla qui in Adriana o in Cheniér. La seconda è un “titolo” tuttora sopravvalutato, destinato a scendere a breve, stando a quanto ci ha fatto sentire in Manon a Venezia: avrà anche una grande voce, ma tra le durezze nell’emissione, gli acuti gridati ed il canto poco legato, la scelta mi pare poco felice ( si sentano i “Vissi d’arte” su Youtube). La terza, poi, è il prototipo della cantante di agenzia ormai alla fine, vista e stravista a Milano in condizioni vocali assai diverse, sebbene le ultime prove milanesi (Ballo e Tosca), abbiano lasciato un ricordo negativo e della cui riproposta non si sentiva affatto la necessità. Per stima ed affezione avremmo preferito che la Scala ci consentisse di omaggiare la signora Giovanna Casolla, cantate amatissima dal pubblico e a vero credito con questo teatro.
Non si può poi tacere l'ulteriore bond argentino, di recentissima emissione, della signora Oksana Dyka, che compare addirittura in due produzioni, Pagliacci in primo cast e secondo cast in Tosca ( ascoltare i miagolii del "Vissi d'arte" areniano su Youtube per credere!!!!) e la seconda Turandot dell'urlatrice Lise Lindstrom.
Sempre nelle proposte che portano la targa della grandi agenzie, spicca il Romeo et Juliette di Gounod, con il duo Machaidze - Grigolo. Il secondo sarebbe adatto al ruolo di tenore secondo in questo titolo, che vive della presenza di un grande protagonista maschile. La prima quale star pompatissima finalmente in un ruolo vero, se eseguito integralmente, e non da mezzo servizio come l'Adina di Elisir di questa stagione. Sulla stessa scia dei prodotti di agenzia, la presenza di Marco Berti quale Calaf, già criticato Don Josè areniano ma evidentemente irrinunciabile in questa produzione scaligera dal cast discutibile.
Numerose presenze assai poco conosciute, dai due soprani dell'Est scelti per Liù, alla Regina della Notte, al Sarastro e ad alcune parti secondarie del Flauto Magico, che come ha già commentato un nostro fido lettore nella chat, è degno della provincia tedesca...ma quella bruta. Per non parlare del pacchetto d'importazione dell'Arabella da Staatsoper Wien, sulla carta poco interessante.
5) Ultima nota sulle bacchette: grande interesse per Gergiev su Turandot, dal quale ci si aspetta moltissimo, e positivo il ritorno di Alessandrini su Monteverdi perchè bacchetta filologa poco baroccara e molto godibile.
6)I concerti di canto. Davvero una stagioncina! La Scala và sul “sicuramente attraente” laddove ci ripropone a distanza di tempo, davvero troppo breve, Florez e la Damrau, l’anziano Hampson e la novità Harteros. Di poco interesse la Kurzak, scelta a mio avviso inspiegabile, e la Kirchschlager ( vedremo se riusciranno a riempire metà teatro …), mentre serata “culturale” quella affidata al baritono Goerne. Insomma, poca cosa.
8 commenti:
mi permetto di intervenire subito e sulle bacchette
Prendiamo atto della riduzione di baremboim , cosiddetto direttore scaligero (termine che mi ricorda le arche veronesi) però i vari direttori di filiazione naturale o adottiva barenboim o abbado alle prese con il lutulento melodramma italiano e il difficile equilibrio voci orchestra mi lasciano molto perplesso. Insomma i Guarnieri, i Gui avevano ben altra dimestichezza e permettetemi io arrivo a rimpiangere i Bellezza i Votto etc.....
Poi chi vivrà vedrà..... perchè di Cavalleria "sinfonica" ne ramemnto una sola con Karajan sul podio
saluti dd
Come già scritto sul forum d'un notissimo periodico virtuale operistico italiano da un habitué della Staatsoper di Berlino, Barenboim riduce la sua presenza a Milano per aumentarla a Berino, dato che la Staatsoper sta per vivere un triennio fuori delle "patrie mura", come lo visse la Scala agli Arcimboldi.
E mi spieghino, per favore, dove stia la senescenza della Gubànova, dato che è del 1979, vocalmente freschissima e, a mio avviso, lo potrebbe rimanere se non vorrà strafare ruoli da mezzosoprano drammatico quali Amneris ed Eboli, già affrontati rispettivamente a Monaco di Baviera e San Pietroburgo (quest'ultimo in un'unica recita, secondo le abitudini del teatro).
Stagione interessante per i titoli variegati, questo a Lissner bisogna dargliene atto, però, occorrono voci adatte per opere del genere.
Walkure: quasi un omaggio alla carriera della Meier e dell'instabile vegliardo John Tomlinson
(il suo Inquisitore londinese è grottesco), attorniato da giovani (Simon O'Neil, Ekaterina Gubanova) e da
novità wagneriane nell'approccio della parte come la Stemme e Pape.
Spero che la Stemme non canti come la Voigt, la quale nella Brunnhilde del Met-Gala in coppia con Heppner fece cose orripilanti.
Cav Rusticana-Pagliacci: I perplessità.
Licitra a Firenze fu Canio discutibe, nella recente Aida al Met aveva una serie di preoccupanti problemi vocali.
Cura nei recenti Pagliacci è allo stato attuale più Baritono di Domingo; D'Intino-Cornetti sono professionali e quest'ultima fu bravissima nello stesso ruolo a Firenze;
i baritoni sono routine, anche se Maestri è il più "saldo"; Dyka-Opolais sono una scelta incredibile!
Tosca: II perplessità.
Serafin-Dyka altra scelta dissennatissima; la Dyka poi in Italia fece un Trovatore in cui venne aspramente contestata, sparì e ritorno per Arianna a Nasso a Genova e poi si fece viva a Bologna. Con che criterio è stata scelta?
Kaufmann se è furbo se la può cavare, al Met poteva anche essere impreciso, tanto lo avrebbero applaudito comunque, ma alla Scala deve CANATARE e Cavarradossi permette molti nascondigli.
Stesso discorso per Berti.
Lucic ha un bel timbro, ma è volgare nella pronuncia e nell'emissione.
Terfel se canta come al Met passerà inosservato.
L'allestimento è una bruttura almeno dalle foto e dalle reazioni del pubblico.
Morte a Venezia:
Bostridge è una creatura da film fantasy con una strana concezione del canto, ma manderà in estasi mistica i "declamatori".
L'opera mi incuriosisce, Bostridge NO.
continua...
...
Zauberflote: cast da bassa Foresta Nera. Si salva Groissbock, bella presenza scenica e bella voce scura
e voluminosa.
Kuhmeier, Roth e Pirgu sono vocine piccine, Esposito è forse l'unico nome "forte".
Turandot: III perplessità.
scelta indecifrabile le due donne.
Due soprani che portano orgogliose le bandiere dell'urlo ad oltranza, dell'inespressione a tutti i costi, del volume spaccatimpani!
Tanto valeva chiamare la Casolla nel I cast ed una Herlitzius nel secondo!
Berti se la caverà con mestiere, Neill ormai ce lo sorbiamo in tutte le salse.
Le due Liù non le consoco, so solo che la Kovalevska ha avuto un buon successo al Met in questo ruolo... ma si sa, il Met non è attendibile!
Tra l'altro sia la Guleghina, sia la Lindstrom sia la Kovalevska erano le cantanti scritturate al Met... praticamente un cast da importazione!
Spero che Gergiev usi il finale di Berio!
Romeo et Juliette: l'allestimento non è malvagio, i due protagonisti sono belli, simpatici, deliziosi, stonatini, piccolini.
Vinogradov ha voce ingrata, il resto è di eterogenea natura.
Qui comunque si poteva osare una Netrebko.
Attila: IV perplessità.
Questo Attila è Splatter puro!
Furlanetto provato! Anastassov con la voce piccina! Vratogna non è proprio un condottiero! Nucci è puro mestiere! Alvarez scambierà Foresto per Canio! Sartori farà le notine! Cosa c'entri la Carosi con un ruolo in cui è prevista coloratura, canto di forza e momenti elegiaci qualcuno me lo spieghi alla luce delle sue ultime prove!?
Arabella:
Welser-Möst è un buon artigiano, il regista è uno che svuota la scena e usa proiezioni su sfondo bianco con tanta staticità.
Pieczonka è incostante, ma è professionale; Konieczny è un baritono che traballa parecchio (vedi Alberich viennese); la Kuhmeier, vedi sopra;
Shade è un mozartiano di lunga frequentazione.
Cavaliere della Rosa:
la Schwanewilms è l'Elsa buatissima con la voce secca ed indietro dell'ultimo Lohengrin.
Rose è un basso di esperienza.
DiDonato la conosciamo.
La Archibald non l'ho mai sentita, ma fino a ieri faceva Zerbinetta e Konstanze.
La donna del lago:
Florez ce la fa, Osborn non so (in Armida è tremendino), DiDonato e Barcellona sono la grande incognita.
Marianne Brandt
Dice bene Brandt di Osborn; ho sentito la registrazione dell'Armida del Met., e faceva pietà. Come del resto tutti gli altri tenori, incluso Brownleee, che dopo aver fatto ben sperare, pare in rapida involuzione. Ma oggi i cantanti durano al massimo due o tre anni prima di sfasciarsi; e pensare che un tempo di consideravano delle "meteore" personaggi come Fleta o di Stefano, che perlomeno 5 o 6 anni in buona forma sono restati!
Mi permetto di aggiungere, benchè sia giustamente di poco interesse in questo sito, la triste scelta di dedicare un intero ciclo di concerti a Lang Lang (dopo quello Beethoven-Schoenberg e dopo il Schumann-Chopin...) e invece di cacciar lì un modestissimo omaggio a Franz Liszt, che a mio parere avrebbe diritto a un ciclo più corposo.
Per quanto riguarda le opere veramente tiriamo un (piccolo) sospiro di sollievo con titoli che più che "di repertorio" definirei "consoni al luogo".
Secondo sospiro di sollievo per la bocciatura di Barenboim... le mie preghiere a San Pietro sono state ascoltate!
Verissimo: dedicare una serie di concerti (e pure una lezione!!!!!!!) a Lang Lang è triste e offensivo. E' la caricatura di un pianista, privo di tecnica e talento, troppo impegnato a curare le coreografie dei suoi movimenti sulla tastiera e a scegliere il costume di scena, piuttosto che a suonare in modo accettabile! Una specie di Allevi insomma... Modestissimo l'omaggio a Liszt, e pure di bassissimo livello visto il pianista scelto (immagino il programma: Consolazioni, Sonetti del Petrarca e qualche Parafrasi)
della serie "è arrivato il professorone!"...che amarezza. certo che se questi sono i nostri Dottori della Musica siamo proprio alla frutta: sarà proprio interessante sentire le sue lezioni...vergogna! (ma bisogna anche prendere appunti??)
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