Nel lontano 1914 ad un concorso (si facevano anche un secolo fa!) il presidente della commissione, Commendatore Alessandro Bonci da Cesena, tenore mitico per i passatisti come noi, dinanzi ad un giovane ragazzo di Recanati, figlio di campanaro e proveniente dalla Cappella Lauretana proclamò “habemus tenorem”. Poi gli capitò un pezzo di ragazzone di Corsico, un borgo alle porte di Milano, e seppure con minor entusiasmo ripetè l’affermazione.
I due tenori rispondevano al nome di Beniamino Gigli e di Francesco Merli. Nella stagione 1918 erano già alla Scala per rimanerci trent’anni circa.
Altre, non molte, volte si è ripetuto ad un concorso di canto un simile episodio.
Vorremmo noi poveri melomani che una sera ad una finale piuttosto che ad una semplice eliminatoria arrivasse un nuovo Gigli, un nuovo Merli o pure una nuova Anita Cerquetti, che, se la memoria non falla, venne pure rispedita a casa, preferititale la signorina Antonietta Stella.
Nulla di tutti questo è capitato ieri sera alla finale di Operalia, il concorso allestito da quasi venti anni da Placido Domingo e che ha laureato molti nomi dell’attuale star system.
Prima di un esame in dettaglio delle voci dei finalisti, premesse e corollari.
Basta vedere questi ragazzi cantare, salvo poche e sporadiche eccezioni: nessuno pratica una respirazione professionale. Dalle più o meno generose scollature femminili ieri sera mai è stato dato vedere l’ “alzarsi del petto” che per i trattatisti da Tosi e Mancini in poi configurava la prova della corretta respirazione. Analogamente nei signori, spesso anche di bell’aspetto (oggi Gigli nessuno lo vorrebbe perché era brutto!!) non si vede quel movimento che nel recente passato connotava lo sportivo canto di un Blake e di un Ramey.
Primo corollario: la respirazione professionale viene praticata dalle voci femminili quando la tessitura del brano sale ed allora la natura, sia pure generosa non basta! Solo che a respirare corrrettamente una tantum, significa non essere allenati e trasformare il canto in sforzo e fatica.
Conseguenza: carriere quinquennali nella più fortunata delle ipotesi.
Secondo corollario: Le voci sono di limitato volume, corte, ingolate, in difficoltà nella dinamica.
Conseguenza: le donne evitano pagine del Verdi spinto, piuttosto che di Wagner e del '900, gli uomini quando lo fanno sono assolutamente impari al compito.
Ad avviso di chi, come me, “conta niente” ai concorsi di canto la prima cosa che una competente commissione esaminatrice dovrebbe fare sarebbe chiedere al candidato di esemplificare come respira, poi di imporre brani uguali per tutti e che tutte le voci possano essere eseguire ( ad esempio la morte di Edgardo, la cavatina di Micaela), ma idonei a saggiare coerenza e preparazione tecnica del candidato. Ad un concorso, credo, nessuno cerca l’interprete sublime e di riferimento per un ruolo.
Ma poi la commissione esaminatrice dovrebbe anche avere la sicurezza ed univocità della risposta da offrire al candidato respinto. E se guardiamo i cast che i membri della giuria assemblano qualche dubbio circa la sussistenza della richiesta peculiarità, ad onta dei tempi grami, sorge.
Dirò subito, senza seguire l’ordine di esibizione ,che ha vinto chi a giudizio del pubblico doveva vincere ossia per le voci femminili Sonia Yoncheva, bulgara e per le maschili Stefan Pop.
La prima ha una vocetta e con un brano (Je marche sur tous les chemins da Manon di Massenet) da vocetta si è presentata. Ha fatto bene ed è stata premiata. Nel dettaglio a parte la dizione un poco confusa e qualche acuto un po’ spinto ha discreto volume perché sembra mettere la voce al posto giusto, sale e scende correttamente. Qualche acuto forse dovrebbe essere un po’ più proiettato. Per coloro i quali hanno interesse all’aspetto estetico è anche carina. Il tenore alle prese con la “gelida manina” ha cominciato maluccio con la solita voce ovattata che accomuna tutti questi cantanti, in zona acuta le cose vanno meglio (do della speranza compreso) anche se ogni tanto musicalità ed intonazione lasciano a desiderare.
Gli altri in ordine.
Ievgen Orlov (Ucraina) basso ha eseguito la scena di Filippo dal Don Carlos. Accompagnato da un’orchestra che suonava davvero male suona tubato e con la voce bassa come tutti i bassi slavi che imitano i due genii loci ossia Christoff (per la dizione artefatta) e Ghiaurov (per la collocazione “bassa”). All’ascoltatore attento non sfugge che è arrivato stanco e già ridotto di volume alla fine. Il volume non sarebbe poco.
Emilya Ivanova (Bulgaria) anche lei ha subito gli splendori dell’orchestra esempio di come si canta oggi , suona fissa, falsetta e appena sale alle “faci ferali" del recitativo grida, per giunta con poca voce.
Ne approfitto per una postilla. Da giovane Maria Callas ascoltava per radio Rosa Ponselle ed Amelita Galli-Curci, a sua volta Joan Sutherland consumò i dischi della Callas e del soprano milanese, oggi una ragazzina, che si avvicini al canto può reperire e consumare le registrazioni di una Netrebko, di una Fleming o di una Bartoli. Non abbiamo, quindi, il diritto di lamentarci per come canti, ma avremmo l’obbligo di regalarle un cd di Joan Sutherland o anche di Mariella Devia e sperare che abbia disposizione per cogliere gli aspetti positivi delle donate registrazioni.
Giordano Luca (Italia) si è lanciato nella romanza di Rodolfo: voce piccola (da Paolino) e vibrata. Diagnosi: se respirasse come si deve e per conseguenza sostenesse avrebbe un po’ più di volume e non mostrerebbe il vibrato. Basta sentire per capire la frase “talor dal mio forziere”.
Sarah Brandon (Sud Africa) fisico da soprano di una volta dedita a Gioconda, voce da paggio Oscar. Canta con la sordina o con il cuscino sulla bocca tanto è ovattata. Per giunta ha scelto la scena, bellissima, da Thais “Dis-moi que je suis belle” dove ci vuole il centro e il fatto che un paio di acuti siano decorosi, sempre da paggio Oscar, è irrilevante.
Andrej Bondarenko (Ucraina) ingolato e opaco. Ha cantato la morte di Posa che nella sezione conclusiva mette alla frusta i baritoni che non sanno eseguire il passaggio di registro, non solo, ma nel curriculum allegato dichiara di cantare Mozart, Marcello di Bohème. Che senso ha l’esecuzione di un’aria da grande baritono? Grande per ampiezza di voce ed interpretazione.
Dinara Alieva (Russia). Anche lei voce indietro, con il vibrato slavo, è decente se canta piano (ovvio!) ma in basso non sa proprio dove si mette la voce così i suoni in alto suonano aciduli e tirati. Ha chiuso con il mi bem, ma il vero problema come sempre erano i do della cabaletta.
Nathaniel Peake (Usa) si lanciato in uno dei must del canto tenorile soprattutto a 78 giri, l’assolo di Vasco de Gama “O paradis”: potremmo dire “O parodie”. Per la cronaca è belloccio, quindi potrebbe anche fare carriera!
Margarita Grytsokova (Russia) qui la voce sarebbe se messa al posto giusto quella di Cherubino è talmente indietro ed ingolata che non si sente. L’orchestra ha suonato benino, qui. In fondo era il suo assolo!
Chae Jum Lim (Corea) voce modesta, senza nessuna caratteristica timbrica, anche il fraseggio è piuttosto inerte e scolastico, però non bercia, è corretto, non sembra spingere la voce (che non è di basso) un paio di acuto sono suonati un po’ stimbrati e spinti. Peccato veniale.
Ryan Mc Kinny (USA) ha cantato il monologo dell’Olandese, poi un brano dalla zarzuela “La cancion del Olvido”, che ha dimostrato come Wagner non serva a giudicare la voce, nella fattispecie e come di costume limitata di sonorità ed ampiezza e grigia.
Rosa Feola (Italia) anche lei si è lanciata nella scena di Violetta, sarebbe adatta alle servette del settecento napoletano. Alle prese con Violetta (ed anche con la Zarzuela, il famoso Barbero de Sevilla caro alle Barrientos, Capsir e Caballé) la voce stenta, suona piccola e falsettante è in difficoltà nell’ottava alta, tanto che omette il mi bem e pasticcia molto i vocalizzi che portano nell’allegro al do acuto (calante).
Lo ammetto: non era facile scegliere e trovare qualche cosa di buono!
I due tenori rispondevano al nome di Beniamino Gigli e di Francesco Merli. Nella stagione 1918 erano già alla Scala per rimanerci trent’anni circa.
Altre, non molte, volte si è ripetuto ad un concorso di canto un simile episodio.
Vorremmo noi poveri melomani che una sera ad una finale piuttosto che ad una semplice eliminatoria arrivasse un nuovo Gigli, un nuovo Merli o pure una nuova Anita Cerquetti, che, se la memoria non falla, venne pure rispedita a casa, preferititale la signorina Antonietta Stella.
Nulla di tutti questo è capitato ieri sera alla finale di Operalia, il concorso allestito da quasi venti anni da Placido Domingo e che ha laureato molti nomi dell’attuale star system.
Prima di un esame in dettaglio delle voci dei finalisti, premesse e corollari.
Basta vedere questi ragazzi cantare, salvo poche e sporadiche eccezioni: nessuno pratica una respirazione professionale. Dalle più o meno generose scollature femminili ieri sera mai è stato dato vedere l’ “alzarsi del petto” che per i trattatisti da Tosi e Mancini in poi configurava la prova della corretta respirazione. Analogamente nei signori, spesso anche di bell’aspetto (oggi Gigli nessuno lo vorrebbe perché era brutto!!) non si vede quel movimento che nel recente passato connotava lo sportivo canto di un Blake e di un Ramey.
Primo corollario: la respirazione professionale viene praticata dalle voci femminili quando la tessitura del brano sale ed allora la natura, sia pure generosa non basta! Solo che a respirare corrrettamente una tantum, significa non essere allenati e trasformare il canto in sforzo e fatica.
Conseguenza: carriere quinquennali nella più fortunata delle ipotesi.
Secondo corollario: Le voci sono di limitato volume, corte, ingolate, in difficoltà nella dinamica.
Conseguenza: le donne evitano pagine del Verdi spinto, piuttosto che di Wagner e del '900, gli uomini quando lo fanno sono assolutamente impari al compito.
Ad avviso di chi, come me, “conta niente” ai concorsi di canto la prima cosa che una competente commissione esaminatrice dovrebbe fare sarebbe chiedere al candidato di esemplificare come respira, poi di imporre brani uguali per tutti e che tutte le voci possano essere eseguire ( ad esempio la morte di Edgardo, la cavatina di Micaela), ma idonei a saggiare coerenza e preparazione tecnica del candidato. Ad un concorso, credo, nessuno cerca l’interprete sublime e di riferimento per un ruolo.
Ma poi la commissione esaminatrice dovrebbe anche avere la sicurezza ed univocità della risposta da offrire al candidato respinto. E se guardiamo i cast che i membri della giuria assemblano qualche dubbio circa la sussistenza della richiesta peculiarità, ad onta dei tempi grami, sorge.
Dirò subito, senza seguire l’ordine di esibizione ,che ha vinto chi a giudizio del pubblico doveva vincere ossia per le voci femminili Sonia Yoncheva, bulgara e per le maschili Stefan Pop.
La prima ha una vocetta e con un brano (Je marche sur tous les chemins da Manon di Massenet) da vocetta si è presentata. Ha fatto bene ed è stata premiata. Nel dettaglio a parte la dizione un poco confusa e qualche acuto un po’ spinto ha discreto volume perché sembra mettere la voce al posto giusto, sale e scende correttamente. Qualche acuto forse dovrebbe essere un po’ più proiettato. Per coloro i quali hanno interesse all’aspetto estetico è anche carina. Il tenore alle prese con la “gelida manina” ha cominciato maluccio con la solita voce ovattata che accomuna tutti questi cantanti, in zona acuta le cose vanno meglio (do della speranza compreso) anche se ogni tanto musicalità ed intonazione lasciano a desiderare.
Gli altri in ordine.
Ievgen Orlov (Ucraina) basso ha eseguito la scena di Filippo dal Don Carlos. Accompagnato da un’orchestra che suonava davvero male suona tubato e con la voce bassa come tutti i bassi slavi che imitano i due genii loci ossia Christoff (per la dizione artefatta) e Ghiaurov (per la collocazione “bassa”). All’ascoltatore attento non sfugge che è arrivato stanco e già ridotto di volume alla fine. Il volume non sarebbe poco.
Emilya Ivanova (Bulgaria) anche lei ha subito gli splendori dell’orchestra esempio di come si canta oggi , suona fissa, falsetta e appena sale alle “faci ferali" del recitativo grida, per giunta con poca voce.
Ne approfitto per una postilla. Da giovane Maria Callas ascoltava per radio Rosa Ponselle ed Amelita Galli-Curci, a sua volta Joan Sutherland consumò i dischi della Callas e del soprano milanese, oggi una ragazzina, che si avvicini al canto può reperire e consumare le registrazioni di una Netrebko, di una Fleming o di una Bartoli. Non abbiamo, quindi, il diritto di lamentarci per come canti, ma avremmo l’obbligo di regalarle un cd di Joan Sutherland o anche di Mariella Devia e sperare che abbia disposizione per cogliere gli aspetti positivi delle donate registrazioni.
Giordano Luca (Italia) si è lanciato nella romanza di Rodolfo: voce piccola (da Paolino) e vibrata. Diagnosi: se respirasse come si deve e per conseguenza sostenesse avrebbe un po’ più di volume e non mostrerebbe il vibrato. Basta sentire per capire la frase “talor dal mio forziere”.
Sarah Brandon (Sud Africa) fisico da soprano di una volta dedita a Gioconda, voce da paggio Oscar. Canta con la sordina o con il cuscino sulla bocca tanto è ovattata. Per giunta ha scelto la scena, bellissima, da Thais “Dis-moi que je suis belle” dove ci vuole il centro e il fatto che un paio di acuti siano decorosi, sempre da paggio Oscar, è irrilevante.
Andrej Bondarenko (Ucraina) ingolato e opaco. Ha cantato la morte di Posa che nella sezione conclusiva mette alla frusta i baritoni che non sanno eseguire il passaggio di registro, non solo, ma nel curriculum allegato dichiara di cantare Mozart, Marcello di Bohème. Che senso ha l’esecuzione di un’aria da grande baritono? Grande per ampiezza di voce ed interpretazione.
Dinara Alieva (Russia). Anche lei voce indietro, con il vibrato slavo, è decente se canta piano (ovvio!) ma in basso non sa proprio dove si mette la voce così i suoni in alto suonano aciduli e tirati. Ha chiuso con il mi bem, ma il vero problema come sempre erano i do della cabaletta.
Nathaniel Peake (Usa) si lanciato in uno dei must del canto tenorile soprattutto a 78 giri, l’assolo di Vasco de Gama “O paradis”: potremmo dire “O parodie”. Per la cronaca è belloccio, quindi potrebbe anche fare carriera!
Margarita Grytsokova (Russia) qui la voce sarebbe se messa al posto giusto quella di Cherubino è talmente indietro ed ingolata che non si sente. L’orchestra ha suonato benino, qui. In fondo era il suo assolo!
Chae Jum Lim (Corea) voce modesta, senza nessuna caratteristica timbrica, anche il fraseggio è piuttosto inerte e scolastico, però non bercia, è corretto, non sembra spingere la voce (che non è di basso) un paio di acuto sono suonati un po’ stimbrati e spinti. Peccato veniale.
Ryan Mc Kinny (USA) ha cantato il monologo dell’Olandese, poi un brano dalla zarzuela “La cancion del Olvido”, che ha dimostrato come Wagner non serva a giudicare la voce, nella fattispecie e come di costume limitata di sonorità ed ampiezza e grigia.
Rosa Feola (Italia) anche lei si è lanciata nella scena di Violetta, sarebbe adatta alle servette del settecento napoletano. Alle prese con Violetta (ed anche con la Zarzuela, il famoso Barbero de Sevilla caro alle Barrientos, Capsir e Caballé) la voce stenta, suona piccola e falsettante è in difficoltà nell’ottava alta, tanto che omette il mi bem e pasticcia molto i vocalizzi che portano nell’allegro al do acuto (calante).
Lo ammetto: non era facile scegliere e trovare qualche cosa di buono!
6 commenti:
L'aspetto più buio (e inaspettato?) dell'evento è stata la concertazione di Domingo. Senza sfumature, sempre ovattata e tronfia nel cercare effettacci sensazionalistici. Un equalizzatore a tacche piene.
Serata comunque piacevole nonostante qualche sbadiglio per l'inevitabile istituzionalità della manifestazione.
devo dire che la serata mi ha lasciato un po' di malinconia: se questo è il concorso considerato "il più importante al mondo" per il reclutamento di giovani leve nell'armata brancaleone della lirica, mi chiedo veramente che fine farà l'opera fra qualche anno. il fatto è che il problema, come ha fatto giustamente notare il buon Donzelli, non sta tanto nei cantanti, ma nel loro metodo di preparazione e ovviamente in chi li educa a cantare. non si può crescere ascoltando Netrebko, Schrott, Didonato e compagnia bella.
Diamo i grandi dischi dalla Patti alla Sutherland, da Schipa a Ramey a tutte le giovani leve della lirica...d'altronde c'è che offre 500 euro ai giovani bamboccioni...Brunetta docet!
:-))))
Da quando ho inizato seguire questo tipo di operazione continuo dire esattamente quello che voi avete scritto...
Forse finalmente qualcuno inizerà guardare come cantavano i "grandi" e non fidarsi delle falsità che sono in giro oggi.
Peccato che non si può ascoltarli più dal vivo perchè come sappiamo tutti (o almeno qui) l'effetto dal vivo in teatro era stupefacente.
Bravi! Bravissimi voi!!
caro scattare e quando inizi a raccontare le favole di scattare. Ciao dd
Beh... già il titolo è carino.
e dopo il titolo aspetto il contenuto della favola non possiamo avere solo quelle di giulia grisi
ciao dd
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