L'ultimo CD registrato dal soprano Patricia Petibon comprende arie tratte da opere del periodo detto "barocco", si tratta del repertorio per il quale questa cantante è considerata dalla critica ufficiale, in particolar modo da quella francese, come una fra le più eminenti specialiste. Sono tutti brani che esprimono il sangue e la passione, da cui il titolo "Rosso".
Patricia Petibon dopo aver studiato al Conservatorio di Parigi si è specializzata con William Christie, in quello che oggi definiscono il "canto barocco", come se si trattasse di un canto a parte, come se provenisse da un altro pianeta.
Ci tengo a raccontare un aneddoto: qualche anno fa telefonai personalmente ad un direttore d'orchestra allievo di William Christie, gli chiesi su quali ricerche musicologiche serie Christie basasse le scelte in materia di canto "barocco", visto e considerato che costui aveva la pretesa di formare vere e proprie schiere di cantanti specializzatissimi. Mi informai per sapere in quali trattati di canto avrebbe trovato che l'emissione fosse “a suono fisso”. Mi rispose che tutti i trattati per strumento dell'epoca invitano ad imitare la voce umana e il vibrato negli strumenti era utilizzato solo come un parco abbellimento, quindi se ne deduce logicamente che l'emissione nel canto dal Medioevo sino al Garcia era poco o punto vibrata. Io feci notare che i cantanti specializzati nel barocco tolgono il vibrato stringendo la gola ed irrigidendo la muscolatura, mentre tutti i trattati di canto dell'epoca sconsigliano di contrarla.
Mi rispose che probabilmente i trattati di canto sconsigliavano di contrarre la gola per altri motivi che non fossero quello di togliere il vibrato. Alla luce di tali "argomenti" penso che ci sia molto da riflettere sulla serietà filologica dei baroccari e se ne deduce (come se ce ne fosse bisogno!) che il loro barocco è più uno stile inventato, frutto del loro cattivo gusto personale, che uno stile esecutivo realmente desunto dal serio studio dei trattati.
Anche perché, in realtà, i trattati non hanno mai insegnato a suonare e a cantare a nessuno: l'insegnamento, e con esso lo stile esecutivo, veniva trasmesso direttamente dal maestro all'allievo.
Nel movimento baroccaro l'urgenza di cambiare il modo di cantare in rapporto alla tradizione vide la luce perchè si era già operata una "rivoluzione" nel campo dell'esecuzione strumentale e la conseguenza logica era che dovevano, per forza, applicarlo anche a quella vocale.
Ritorniamo alla registrazione in questione: la Petibon è già sottodotata in natura perché possiede una vocina scarna e monocroma, veramente una vociuzza di poco interesse: se a questo si aggiunge l'aggravante di una tecnica strampalata basata sulla fantasia di metodi di canto senza fondamento storico, vi lascio immaginare, anzi ascoltare, il disastro che ne risulta.
L'emissione è spoggiatissima e lo stile raccapricciante. Volendo basare tutta l'interpretazione su quello che i baroccari chiamano “l'eloquenza espressiva dello stile rappresentativo”, che in realtà è solo una concitazione esteriore e becera, la dizione risulta tutta artefatta e confusa, la linea musicale ne esce completamente frantumata.
Parecchi sono i passaggi in cui, invece di eseguire la nota, la Petibon esegue una specie di verso strano, un suono stonato preso dal sotto e spinto all'insù, che assomiglia più al parlato che al canto, respira ogni tre note con affanno. Numerosissimi sono gli attacchi con un filo di voce fissa e consunta, stonata e ingolata. Ogni brano è eseguito tutto senza legato a causa del sopracitato stile concitato-scomposto, e con una emissione che oscilla fra il tremolante-periclitante e varie fissità dure di gola; il che poi è normale, perché se si stringe la gola e si irrigidiscono i muscoli per bloccare il vibrato naturale della voce poi, quando si rilascia la tensione, la voce, per il contraccolpo, scatta in una emissione senza controllo ed esce mettendosi a ballare spaventosamente. Per dare un esempio prosaico si può dire che il meccanismo funziona un po' come il sistema della pentola a pressione: più si tiene il coperchio chiuso e più forte sarà lo sbotto incontrollato dell'uscita del vapore.
Nelle arie lente la Petibon falsetteggia tutti i passaggi vocalizzati, diventa leziosa e manierata nella dizione.
Alcuni esempi:
"Tornami a vagheggiar" dall' Alcina: le agilità sono imprecise perché eseguite alternando l'esecuzione aspirata a quella slegata, non c'è nessuna arcata vocale degna di questo nome perchè niente è sul fiato, tutto in stile declamato, trasformando così l'aria di Haendel in un recitativo, con inflessioni parlate e messe di voci fisse, dure e stonate. Tenta alcuni acuti, ma questi suonano aspri e fibrosi, le variazioni non seguono il dettato melodico, e paiono fronzoli posticci, di conseguenza il dacapo è infarcito con picchettati insulsi e fuori stile, per giunta vetrosi e striduli, quasi una bambola Olympia impazzita, catapultata in un opera a cui è estranea. La cadenza è una serie di rantoli a singhiozzi che terminata con una specie di tremolìo che dovrebbe fungere da trillo. E questi sono i "cantanti" prodotti da quella "scuola" che osa dire che la Sutherland in Haendel è fuori posto!!!!!!!!
“Lascia ch'io pianga” è la stessa cosa. Voce non impostata, senza legato, suono tendenzialmente fisso e scarno, stile piagnucoloso per esprime una malinconia tutta esteriore e becera, che a tratti diventa addirittura caricaturale, le modulazioni sono tutti falsetti smunti e slabbrati. Manca proprio quello che è una cavata, una arcata che dia pienezza e senso alla linea di canto, il da capo è realizzato con variazioni che sono musicalmente e stilisticamente, per dirla con un termine francese che rende bene l'idea, “vraiment n'importe quoi!”.
“Volate amori” dall'Ariodante è tutta asprigna e stretta di gola, le agilità sfarfalleggiate in bocca senza espressione, e senza espressione l'agilità non ha senso, gli accenti nascosti non sono solo tipici di Rossini, sono nella natura stessa di tutto il canto figurato, ne sono la sua essenza. Senza arte ne parte la Petibon sbrodola i melismi in modo impreciso pasticciandoli privandoli così di senso. La sezione centrale è tutta piena d'aria e sospiri inutili. Se costei avesse saputo eseguire correttamente le agilità potendo così renderle espressive non sarebbe stato necessario rantolare tanto per esprimere l'affanno. Questo prova che i cosiddetti specialisti odierni del barocco tradiscono e travisano il canto dell'epoca barocca proprio in quello che è la sua essenza. L'aria termina con un passaggio a piena voce forzato e duro, stonatissimo, mentre il da capo è la solita tiritera che invece di andare nel senso di quello che è già scritto arricchendolo e potenziandolo espressivamente e musicalmente, ne è la storpiatura, con svolazzi inutili (fra l'altro imprecisi nell'esecuzione e striduli nel suono) e posticci, aggiungendo, a mo' di variazioni, ancor più inflessioni parlate e sguaiate, una quantità sovrabbondante di suoni sbraccati.
"Ah mio cor schernito sei" è attaccato con una messa di voce che è la più perfetta imitazione del fischio di una caffettiera impazzita, un suono che non corrisponde assolutamente ad una nota, è un U.F.O. o meglio un U.S.O., oggetto suonante non identificato. Quanto segue procede, come nel resto, tutto a strappi e senza legato, storpiando così la linea melodica. La bellezza e la purezza della linea musicale sono sacrificate sull'altare di una retorica espressiva da pollaio che purtroppo i baroccari pensano sia la tanto celebre ed autentica "espressione degli affetti".
"Morte amara" incomincia con una messa di voce: altro fischio della caffettiera, altro oggetto suonante non identificato che termina con un trillo che è un farfuglio. Per assenza di legato e volontà di dare concitazione ad ogni singola parola trasforma il cantabile in recitativo, facendo così assomigliare una aria di Porpora ad una brutta coppia, anzi ad una caricatura, del declamato della tragédie lyrique alla Rameau.
"Siam navi all'onde algenti" è basata sul canto di sbalzo, quindi mette fin dall'inizio in evidenza la mancanza di omogeneità della voce della Petibon, con un registro grave gonfio e tubatissimo sino al grottesco per poi ripartire in zona medio acuta con un suono smunto e scarno. Oggi si sostiene che l'emissione all'epoca non fosse omogenea ma basata sul contrasto accentuato dei registri petto-testa, il che è pura invenzione baroccara, di fatto tutti i trattati e gli scritti in cui si parla di canto, da Montaverdi a Mancini e Tosi passando per De Bacilly e Rameau, parlano proprio della fusione perfetta dei registri e della voce omogenea su tutta l'estensione. Il che lascia proprio da capire che dei trattati i baroccari non sanno che farsene.
"Come mai puoi vedermi piangere" e "Caldo sangue" sono della stessa risma, non c'è bisogno di dettagliare tutti gli spropositi vocali e stilistici che costellano le rispettive esecuzioni, si devono realmente ascoltare per rendersene conto, poichè certi strafalcioni d'emissione e di stile sono indescrivibili a parole.
La Petibon riesce persino ad essere incomprensibile tanto la dizione è artefatta e confusa per la troppa preoccupazioni di sbracare i suoni. Se poi si pensa che sono proprio i baroccari a dire che nel barocco l’elemento più importante è il testo, a cui andrebbe, sempre secondo loro, sacrificata la linea vocale, cosa che fra l'altro non trova riscontro in nessun trattato, si capirà che non solo codesti ciarlatani dicono falsità storiche ma, per di più, vengono meno ai dogmi da loro inventati.
Allego lo sproloquio da cui si capisce che Patricia Petibon confonde il canto barocco col canto espressionista, buon ascolto!
Semolino
Gli ascolti
Haendel
Alcina
Atto I
Tornami a vagheggiar - Mariella Devia (1991)
Atto II
Ah, mio cor! schernito sei - Joan Sutherland (1959)
Ariodante
Atto I
Volate, amori - Margherita Rinaldi (1971)
Giulio Cesare in Egitto
Atto III
Piangerò la sorte mia - Renata Tebaldi (1950)
Rinaldo
Atto II
Lascia ch'io pianga - Claudia Muzio (1922)
Patricia Petibon dopo aver studiato al Conservatorio di Parigi si è specializzata con William Christie, in quello che oggi definiscono il "canto barocco", come se si trattasse di un canto a parte, come se provenisse da un altro pianeta.
Ci tengo a raccontare un aneddoto: qualche anno fa telefonai personalmente ad un direttore d'orchestra allievo di William Christie, gli chiesi su quali ricerche musicologiche serie Christie basasse le scelte in materia di canto "barocco", visto e considerato che costui aveva la pretesa di formare vere e proprie schiere di cantanti specializzatissimi. Mi informai per sapere in quali trattati di canto avrebbe trovato che l'emissione fosse “a suono fisso”. Mi rispose che tutti i trattati per strumento dell'epoca invitano ad imitare la voce umana e il vibrato negli strumenti era utilizzato solo come un parco abbellimento, quindi se ne deduce logicamente che l'emissione nel canto dal Medioevo sino al Garcia era poco o punto vibrata. Io feci notare che i cantanti specializzati nel barocco tolgono il vibrato stringendo la gola ed irrigidendo la muscolatura, mentre tutti i trattati di canto dell'epoca sconsigliano di contrarla.
Mi rispose che probabilmente i trattati di canto sconsigliavano di contrarre la gola per altri motivi che non fossero quello di togliere il vibrato. Alla luce di tali "argomenti" penso che ci sia molto da riflettere sulla serietà filologica dei baroccari e se ne deduce (come se ce ne fosse bisogno!) che il loro barocco è più uno stile inventato, frutto del loro cattivo gusto personale, che uno stile esecutivo realmente desunto dal serio studio dei trattati.
Anche perché, in realtà, i trattati non hanno mai insegnato a suonare e a cantare a nessuno: l'insegnamento, e con esso lo stile esecutivo, veniva trasmesso direttamente dal maestro all'allievo.
Nel movimento baroccaro l'urgenza di cambiare il modo di cantare in rapporto alla tradizione vide la luce perchè si era già operata una "rivoluzione" nel campo dell'esecuzione strumentale e la conseguenza logica era che dovevano, per forza, applicarlo anche a quella vocale.
Ritorniamo alla registrazione in questione: la Petibon è già sottodotata in natura perché possiede una vocina scarna e monocroma, veramente una vociuzza di poco interesse: se a questo si aggiunge l'aggravante di una tecnica strampalata basata sulla fantasia di metodi di canto senza fondamento storico, vi lascio immaginare, anzi ascoltare, il disastro che ne risulta.
L'emissione è spoggiatissima e lo stile raccapricciante. Volendo basare tutta l'interpretazione su quello che i baroccari chiamano “l'eloquenza espressiva dello stile rappresentativo”, che in realtà è solo una concitazione esteriore e becera, la dizione risulta tutta artefatta e confusa, la linea musicale ne esce completamente frantumata.
Parecchi sono i passaggi in cui, invece di eseguire la nota, la Petibon esegue una specie di verso strano, un suono stonato preso dal sotto e spinto all'insù, che assomiglia più al parlato che al canto, respira ogni tre note con affanno. Numerosissimi sono gli attacchi con un filo di voce fissa e consunta, stonata e ingolata. Ogni brano è eseguito tutto senza legato a causa del sopracitato stile concitato-scomposto, e con una emissione che oscilla fra il tremolante-periclitante e varie fissità dure di gola; il che poi è normale, perché se si stringe la gola e si irrigidiscono i muscoli per bloccare il vibrato naturale della voce poi, quando si rilascia la tensione, la voce, per il contraccolpo, scatta in una emissione senza controllo ed esce mettendosi a ballare spaventosamente. Per dare un esempio prosaico si può dire che il meccanismo funziona un po' come il sistema della pentola a pressione: più si tiene il coperchio chiuso e più forte sarà lo sbotto incontrollato dell'uscita del vapore.
Nelle arie lente la Petibon falsetteggia tutti i passaggi vocalizzati, diventa leziosa e manierata nella dizione.
Alcuni esempi:
"Tornami a vagheggiar" dall' Alcina: le agilità sono imprecise perché eseguite alternando l'esecuzione aspirata a quella slegata, non c'è nessuna arcata vocale degna di questo nome perchè niente è sul fiato, tutto in stile declamato, trasformando così l'aria di Haendel in un recitativo, con inflessioni parlate e messe di voci fisse, dure e stonate. Tenta alcuni acuti, ma questi suonano aspri e fibrosi, le variazioni non seguono il dettato melodico, e paiono fronzoli posticci, di conseguenza il dacapo è infarcito con picchettati insulsi e fuori stile, per giunta vetrosi e striduli, quasi una bambola Olympia impazzita, catapultata in un opera a cui è estranea. La cadenza è una serie di rantoli a singhiozzi che terminata con una specie di tremolìo che dovrebbe fungere da trillo. E questi sono i "cantanti" prodotti da quella "scuola" che osa dire che la Sutherland in Haendel è fuori posto!!!!!!!!
“Lascia ch'io pianga” è la stessa cosa. Voce non impostata, senza legato, suono tendenzialmente fisso e scarno, stile piagnucoloso per esprime una malinconia tutta esteriore e becera, che a tratti diventa addirittura caricaturale, le modulazioni sono tutti falsetti smunti e slabbrati. Manca proprio quello che è una cavata, una arcata che dia pienezza e senso alla linea di canto, il da capo è realizzato con variazioni che sono musicalmente e stilisticamente, per dirla con un termine francese che rende bene l'idea, “vraiment n'importe quoi!”.
“Volate amori” dall'Ariodante è tutta asprigna e stretta di gola, le agilità sfarfalleggiate in bocca senza espressione, e senza espressione l'agilità non ha senso, gli accenti nascosti non sono solo tipici di Rossini, sono nella natura stessa di tutto il canto figurato, ne sono la sua essenza. Senza arte ne parte la Petibon sbrodola i melismi in modo impreciso pasticciandoli privandoli così di senso. La sezione centrale è tutta piena d'aria e sospiri inutili. Se costei avesse saputo eseguire correttamente le agilità potendo così renderle espressive non sarebbe stato necessario rantolare tanto per esprimere l'affanno. Questo prova che i cosiddetti specialisti odierni del barocco tradiscono e travisano il canto dell'epoca barocca proprio in quello che è la sua essenza. L'aria termina con un passaggio a piena voce forzato e duro, stonatissimo, mentre il da capo è la solita tiritera che invece di andare nel senso di quello che è già scritto arricchendolo e potenziandolo espressivamente e musicalmente, ne è la storpiatura, con svolazzi inutili (fra l'altro imprecisi nell'esecuzione e striduli nel suono) e posticci, aggiungendo, a mo' di variazioni, ancor più inflessioni parlate e sguaiate, una quantità sovrabbondante di suoni sbraccati.
"Ah mio cor schernito sei" è attaccato con una messa di voce che è la più perfetta imitazione del fischio di una caffettiera impazzita, un suono che non corrisponde assolutamente ad una nota, è un U.F.O. o meglio un U.S.O., oggetto suonante non identificato. Quanto segue procede, come nel resto, tutto a strappi e senza legato, storpiando così la linea melodica. La bellezza e la purezza della linea musicale sono sacrificate sull'altare di una retorica espressiva da pollaio che purtroppo i baroccari pensano sia la tanto celebre ed autentica "espressione degli affetti".
"Morte amara" incomincia con una messa di voce: altro fischio della caffettiera, altro oggetto suonante non identificato che termina con un trillo che è un farfuglio. Per assenza di legato e volontà di dare concitazione ad ogni singola parola trasforma il cantabile in recitativo, facendo così assomigliare una aria di Porpora ad una brutta coppia, anzi ad una caricatura, del declamato della tragédie lyrique alla Rameau.
"Siam navi all'onde algenti" è basata sul canto di sbalzo, quindi mette fin dall'inizio in evidenza la mancanza di omogeneità della voce della Petibon, con un registro grave gonfio e tubatissimo sino al grottesco per poi ripartire in zona medio acuta con un suono smunto e scarno. Oggi si sostiene che l'emissione all'epoca non fosse omogenea ma basata sul contrasto accentuato dei registri petto-testa, il che è pura invenzione baroccara, di fatto tutti i trattati e gli scritti in cui si parla di canto, da Montaverdi a Mancini e Tosi passando per De Bacilly e Rameau, parlano proprio della fusione perfetta dei registri e della voce omogenea su tutta l'estensione. Il che lascia proprio da capire che dei trattati i baroccari non sanno che farsene.
"Come mai puoi vedermi piangere" e "Caldo sangue" sono della stessa risma, non c'è bisogno di dettagliare tutti gli spropositi vocali e stilistici che costellano le rispettive esecuzioni, si devono realmente ascoltare per rendersene conto, poichè certi strafalcioni d'emissione e di stile sono indescrivibili a parole.
La Petibon riesce persino ad essere incomprensibile tanto la dizione è artefatta e confusa per la troppa preoccupazioni di sbracare i suoni. Se poi si pensa che sono proprio i baroccari a dire che nel barocco l’elemento più importante è il testo, a cui andrebbe, sempre secondo loro, sacrificata la linea vocale, cosa che fra l'altro non trova riscontro in nessun trattato, si capirà che non solo codesti ciarlatani dicono falsità storiche ma, per di più, vengono meno ai dogmi da loro inventati.
Allego lo sproloquio da cui si capisce che Patricia Petibon confonde il canto barocco col canto espressionista, buon ascolto!
Semolino
Gli ascolti
Haendel
Alcina
Atto I
Tornami a vagheggiar - Mariella Devia (1991)
Atto II
Ah, mio cor! schernito sei - Joan Sutherland (1959)
Ariodante
Atto I
Volate, amori - Margherita Rinaldi (1971)
Giulio Cesare in Egitto
Atto III
Piangerò la sorte mia - Renata Tebaldi (1950)
Rinaldo
Atto II
Lascia ch'io pianga - Claudia Muzio (1922)
18 commenti:
Come al solito sono perfettamente d'accordo, soprattutto su 'il "canto barocco", come si tratasse di un canto a parte, come se provenisse da un altro pianeta'.
Ci sono corsi su corsi nei vari conservatori e scuole musicali dedicate a questa "nuova" materia che non fa altro che rovinare corde vocali buttando il povero allievo tra le mani professionali di foniatri vari che ne devono sapere di cose e conoscere storie tristi di gole distrutte.
Bellissimo l'anedotto. Peccato che non sia stato una fiaba, invece è una triste verità.
Grazie di aver incluso sia la Tebaldi che la Muzio tra gli ascolti.
C'è anche un Messiah della Steber che inorridirebbe questi barocchari extraterrestri.
Ovviamente l'esclusione della Sills avrà i suoi motivi.
E che gli allievi ricordino sempre:
"...i trattati non hanno mai insegnato a suonare e a cantare a nessuno: l'insegnamento, e con esso lo stile esecutivo, veniva trasmesso direttamente dal maestro all'allievo."
Amen.
"Ovviamente l'esclusione della Sills avrà i suoi motivi."
No, è che non possiamo includere a ogni "giro" di ascolti sempre e solo le solite nostre beniamine... e poi, per la circostanza presente, la Ginevra di Margherita Rinaldi è anche troppo lusso!!! :)
saluti
AT
Per non dimenticare:
http://www.youtube.com/watch?v=SsCoBaqtmxw
Grazie Semolino!
Marianne Brandt
http://3.bp.blogspot.com/_Q6Cto-_J-t4/SEYk6K1aTqI/AAAAAAAAA2o/nTucAUmQjoM/s1600-h/Carrie.php
se volete giocare al "Petibon Horror Festival", ho il video definitivo:
http://www.youtube.com/watch?v=YT-BA6IxXU0
Dopo la Carmen di Currentzis aspetto fiducioso la prossima trovata: una bella edizione con la protagonista impersonata da un controtenore
che dire, cantante oscena! come al solito Christie oltre ad essere un pessimo direttore sforna cantanti incapaci. ovviamente non posso che concordare con Semolino soprattutto nell'aver sottolineato il vuoto che sta alla base delle presunte teorie di canto del barocco vagamente collegate ad altre finte teorie strumentiste (assenza di vibrato, suono fisso...) c'è da chiedersi da dove abbiano tirato fuori tante balle!
"Petibon Horror Festival" capitolo II:
http://www.youtube.com/watch?v=GtG_Z_hRHHw (aria di Lakme!)
divano..... party
@Scattare : siam d'accordo che i trattati non hanno mai insegnato a cantare a nessuno, difatti non spiegano tecnicamente cosa deve fare l'eventuale aspirante cantante per emettere il suono correttamente, questo anche perchè a nessun trattatista (che nella maggior parte dei casi erano cantanti) gli sarebbe mai venuto in mente una cosa simile, l'insegnamento vero può nascere solo dallo scambio diretto fra il maestro che da l'esempio e l'allievo che lo ripete. Però i trattati cristallizzano una tradizione e descrivono il canto come veniva realizzato all'epoca o come avrebbero voluto che lo fosse, a seconda dei casi. Gli scritti dell'epoca parlano dell'importanza della messa di voce, dell'importanza del legato, dell'agilità martellata, della voce risuonante come in una canna d'argento, dell'unione perfetta dei registri, della voce sonora ed omogenea su tutta la gamma, del trillo granito e preciso ecc... queste sono tutte cose che non si possono realizzare senza una voce perfettamente in maschera (appoggio) e sul fiato (sostegno). Per quanto riguarda il suono fisso non se ne parla in nessun punto, invece c'è un passaggio del trattato di Zacconi, che se non vado errato (dovrei verificare) è della fine del 1500 o gli inizi del 1600, in cui scrive "quel tremar che è nella voce" e prosegue "che è cosa buona e va coltivata perchè aiuta nei passaggi". L'italiano ha subito una certa evoluzione, certi termini possono aver cambiato senso, infatti all'epoca il passaggio non era il passaggio di registro ma l'agilità, però se si parla di "tremar che è nella voce" non mi pare che ci siano equivoci, si parla del vibrato e di quello sano e naturale di una voce ben impostata, e tutti sanno, anche i somari, che quando una voce è ben impostata è portata naturalmente all'agilità, ed è per questo che lo Zacconi precisa di coltivarlo perchè aiuta nei passaggi cioè nell'esecuzione delle agilità. Insomma, da una lettura approfondita degli scritti dell'epoca si capisce chiaramente che il modo di emettere la voce di un cantante non era diversa, e non poteva esserlo proprio per quel che gli veniva richiesto, da quello di una Onegin, una Lehmann, un Plançon, un Battistini o un De Lucia. Per quanto riguarda lo stile esecutivo, quello ha certamente subito un cambiamento, poiche esso nasce direttamente dalla sensibilità e dal gusto dell'epoca, basti sentire come intepretano oggi e come interpretavano nel 1920 per accorgersi della differenza. Ma dello stile esecutivo dell'epoca barocca non rimangono testimonianze. Significativo è poi il fatto che i trattati di canto insistono maggiormente sulla purezza, la bellezza dell'emissione, degli ornamenti che sull'interpretazione in se stessa, anche questo dovrebbe far capire ai baroccari che la linea di canto non va mai compromessa in favore di una interpretazione volgare e plebea, di tipo espressionista, non si può compromettere la purezza del legato e la bellezza del suono in favore dell'espressione, è quest'ultima che va, per così dire, trascesa e sublimata, stilizzata, nel canto. L'arte barocca in genere, e soprrattutto il melodramma barocco, rifiutavano l'imitazione becera della realtà e quindi lo stile non poteva essere espressionista come quello della Petibon e delle sue colleghe.
Condividendo appieno quanto scritto da Semolino circa il "tremar della voce" e l'artificialità ideologica della pratica baroccara (che mi rifiuto di definire "filologica" in quanto ritengo la filologia scienza seria e necessaria: una vera risorsa di cui oggi si dovrebbe sempre tener conto), e dopo lo stupore per il fatto di essere riuscito ad ascoltare tutto il cd della Petibon (un orrore...), mi permetto di aggiungere un concetto. L'errore più grosso dei baroccari (oltre ai soliti già denunciati) è quello di confondere il tipo di emissione, ossia la tecnica, con lo stile. Essi rifiutano le esecuzioni storiche perchè le ritengono filologicamente scorrette, e mettono nello stesso calderone emissione, sonorità e stile esecutivo. Grave errore! Ovvio che il tipo di agilità, le cadenze etc..che utilizzavano una Onegin, una Lehmann, un Plançon, un Battistini o un De Lucia (per stare a quelli che cita Semolino) non sono del tutto corrette, appaiono fuori stile e sono filologicamente una forzatura (e spesso non sono belle, come certi "sghiribizzi" liberty alla linea vocale rossiniana)...ma non così la tecnica e il modo di emettere la voce. Oggi poi abbiamo fonti che allora non erano disponibili. Conosciamo, attraverso trattati e raccolte, il tipo di cadenze e il tipo di coloratura che una certa epoca usava. Abbiamo ricche collezioni di cadenze e variazioni d'autore o dei primi interpreti. Allora non si conoscevano e si eseguivano i virtuosismi secondo un gusto d'epoca...che spesso faceva a pugni con la musica scritta da Handel o da Rossini. Ma cantavano come si deve. Oggi dovremmo utilizzare quelle fonti. E invece si gettano gli arbitri insieme alla correttezza tecnica. Ecco perchè c'è bisogno di filologia: filologia vera però! Non quell'imbroglio dell'ideologia baroccara...
credo che un altro grande limite della "filologia" baroccara sia quello di assolutizzare ogni supposizione, ogni congettura spesso non fondata o fondata su false credenze.
comunque credo che all'origine di tutta questa "scuola di canto" barocca(ra) vi sia un cambiamento, una modifica delle compagini orchestrali: i primi complessi barocci come i Virtuosi di Roma, I Musici o I Solisti Veneti e avevano (e hanno nel caso dei Solisti Veneti) un suono ancora molto legato all'orchestra haydiana con aspetti pratici ancora ottocenteschi: avevano cioè un suono più omogeneo, più dinamico e legato usando inoltre un numero maggiore di strumentisti (Solisti Veneti 15 violini, Europa Galante: 8 violini), l'arco ottocentesco e non quello seicentesco più breve e meno squadrato, usavano corde di metallo e non di budello,..insomma tutta una serie di tecniche legate ancora ad una matrice sinfonica sette/ottocentesca.
le nuove compagini barocche e baroccare cambiano numerosi aspetti seguendo spesso una corrente opposta rispetto alle orchestre citate prima: introducono corde di budello e l’arco barocco, riducono gli strumentisti, e producono un suono talvolta meno dinamico, più plastico ed artificiale che ovviamente altera il suono complessivo.
Tutto ciò può risultare positivo nell’ambito strumentale: penso a compagini di buon livello come il Concerto Italiano o la Venice Baroque Orchestra che comunque riescono a rendere un suono pieno e pulito pur applicando le suddette tecniche.
I problemi emergono nel canto: i baroccari hanno applicato queste teorie del suono non vibrato, plastico e non appoggiato al canto in virtù di una necessaria somiglianza fra compagine strumentale e canora. Il problema della sonorità, del volume è una conseguenza di tutto ciò.
Ecco che quindi si hanno questi aborti come Madame Petibu o Frau Kermes…
@Benucci: Parli de "I Virtuosi di Roma". Direttore, Renato Fasano. Era più che un complesso di barocccari. Era composto di tutti i "primi leggii" di tutte le orchestre italiane ( Non dimentichiamo le 4 RAI!!!) più famose all'epoca. Dici poco?
E ricordate che Sciutti, Alva, Panerai, Capecchi, Montarsolo, Moffo, Verrett e tanti altri vi cantavano insieme.
Ascolta le loro registrazioni poi ne parliamo.
Nessuno qui ha menzionato quelli de "il buon vecchio" Radio Svizzera Italiana, che negli anni '50 furono i primi coraggiosi fuori Italia (Lugano poi...) rispolverare il repertorio '600 - '700 italiano, diretti dal grande Maestro Edwin Loehrer, svizzero.
Io, all'epoca, girovago e pellegrino per lavoro, ebbi la fortuna di assistere a concerti rivelatori.
Vi suggerisco questa lettura:
http://web.ticino.com/sonoris/L%f6hrer/L%27avventura%20spirituale%20di%20un%20
musicista%20riservato.htm
E ne facevano parte di questo gruppo tanti dotati italiani, cantanti e strumentisti, precursori ed esploratori che, sotto la guida del loro direttore M.o Loehrer, hanno scoperto terre sconosciute a due passi dall'Italia della Tebaldi, della Callas, ecc., ecc.
Poi a due passi dalla Scala - sempre QUELLA Scala - c'era il glorioso Angelicum che offriva prove generali aperte domenica mattina dei concerti simili a quelli della Radio Svizzera con gli stessi artisti italiani.
Chi può mai dimenticare l'emozione dell'aria 'Plorate, plorate colles' cantata dalla grande Ticinelli Fattori nell'oratorio "Jephte" di Carissimi? O la sua "Lettera amorosa" monteverdiana?
Ma dai... Pettirosso o simili non esistono!
Che si nascondino dalla vergogna!
Bravo scattare!
Finalmente incominci a sbottonarti.
io non parlo dei virtuosi di Roma come un complesso di baroccari, anzi...e non intendo assolutamente sminuire il loro ruolo. sono perfettamente consapevole della loro importanza. sottolineo solo la ovvia differenza fra queste orchestre e i complessi barocchi odierni...
Forse Semolino ha ragione, pero'non sono troppo convinto. Che cosa voleva dire allora Mozart quando si lamentava dei cantanti che usavano il vibrato perche', secondo lui la voce ha gia' abbastanza vibrazioni, e perche' del vibrato si lamentava anche Rossini? Poi nei dischi dei primi de novecento spesso ci sono vibrati rapidissimi (De Lucia, Kaschmann)o uso e mancanza del vibrato nello stesso disco, come la Tetrazzini nella canzone di Solveig, o pochissimo vibrato come nei dischi della Beach-Yaw. Perche'un grandissimo Amato registro' il "Largo al factotum" la prima volta con un vibrato rapido e la seconda volta quasi senza vibrato?
@Benucci: Sì, non intendevo franintendere le tue parole su "I Virtuosi di Roma".
Volevo solo rinforzare le tue idee, ma forse mi è uscito male.
@Charles : Dove? Come? Quando? In quale constesto Mozart e Rossini si sono lamentati del vibrato? Quello che poi pare più strano è che se ne siano lamentati come di qualcosa di cui si faceva uso, allorchè tutti sanno che una voce impostata ha un vibrato naturale che non si può usare perchè c'è naturalmente che si voglia o no, per togliere quel vibrato bisogna irrigidire la muscolatura e spoggiare la voce. Il vibrato della voce non è come quello del violinista, il violinista deve vibrare per ottenerlo quindi si può parlare di "uso del vibrato" il cantante no, il cantante può solo bloccare per toglierlo, la cosa è diversa. Poi il vibrato è una cosa anche molto personale c'è chi ne ha di più e chi ne ha di meno e chi ne ha così poco che quasi sembra non esserci. La voce stessa di un cantante col tempo può evolvere e diventare più o meno vibrata.
Per quanto riguardale registrazioni storiche, i 78 e i cilindri, era la tecnica di registrazione che aveva tendenza ad appaittire il suono.
Non so nel canto, ma nella musica strumentale è un fatto storico acquisito che il vibrato uniforme, ossessivo, su ogni nota più lunga di una croma, è un'invenzione del XX secolo. Anzi, del secondo dopoguerra - basta ascoltare vecchie incisioni prebelliche di Wagner o Beethoven per rendersi conto che allora il vibrato in orchestra lo usavano meno che dal dopoguerra in poi. E a sostenerlo non sono solo i baroccari che disprezzate. Se vi andate a leggere cosa dicevano Joachim e Brahms in proposito, scoprite che la pensavano, mutatis mutandis, non diversamente da Couperin e i teorici musicali della sua epoca - non "baroccari" ma barocchi autentici. Il vibrato, ma chiunque abbia un minimo di sale in zucca se ne rende conto da solo dopo pochi ascolti con orecchie non foderate di prosciutti primo-novecenteschi, è un "agrément", un artificio retorico da usarsi in casi particolari e ben definiti. Steso sugli strumenti come una moquette non è altro che una manifestazione di isteria emotiva, molto tipica del secolo appena trascorso con le sue nevrosi, le sue dittature e le sue guerre mondiali. E come isteria emotiva lo vedevano Joachim e Brahms e generazioni di compositori e teorici prima di loro, non solo i nostri filologi baroccari.
Poi ci sarebbe un molto più ampio discorso sulla cosiddetta prassi esecutiva. Ma, appunto, sarebbe un discorso troppo lungo. Mi preme maggiormente sottolineare un altro aspetto di questo blog. La sprezzante violenza di certi giudizi su alcuni compositori. Ho trovato in un post precedente, ad esempio, una feroce stroncatura di Cavalli. Personalmente auspicherei una maggiore umiltà da parte di noi poveri contemporanei, e melomani pieni di sé, nei confronti di artisti vissuti secoli fa. Cavalli fu un notevole compositore, autore di grandiosa musica sacra; nei suoi giorni, uno degli astri della musica europea, e storicamente un autore di grande importanza.
Certamente può non piacere. Non è obbligatorio apprezzare Cavalli. Io, per esempio, non sopporto l'opera italiana dell'Ottocento. Non digerisco i drammetti all'acqua di colonia di Bellini e Donizetti, il passionalismo al lambrusco di Verdi, il liberty a squarciagola di Puccini, e tutto quell'operismo da dopolavoro da filarmonica di paese che ci girava intorno. Non tollero il verismo, la musica di Mascagni mi provoca intensa repulsione. Ma non mi permetterei di sputare su Verdi o Puccini o Ponchielli o Mascagni come invece ho visto fare con Cavalli in quel post. Solo perché il Giasone è troppo lungo e noioso per i nostri belcantisti che vogliono vedere in scena solo delitti passionali e tisiche Mimì.
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