Abbiamo ieri sera assistito alla Norma presentata a Bologna.
La locandina:
Pollione - Fabio Armiliato
Oroveso - Rafal Siwek
Norma - Daniela Dessì
Adalgisa - Kate Aldrich
Clotilde - Marie Luce Erard
Flavio - Antonello Ceron
Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna
Maestro del coro - Paolo Vero
Direttore - Evelino Pidò
Regia - Federico Tiezzi
A leggere i nomi in cartellone, perlomeno quello dei due protagonisti, potevamo aspettarci qualcosa di diverso da quanto abbiamo effettivamente sentito in teatro?
Per la protagonista questo blog non può nascondere una aperta simpatia e stima, e non tanto per la sua carriera più recente di cantante verista, quanto per quella più remota e, forse, sconosciuta alla maggior parte dei suoi fans, ossia quella degli anni in cui alla ragazza semplice, dalla voce d’oro e dal repertorio sterminato ed inquieto non veniva mai riconosciuto il giusto tributo. La diva di oggi è approdata alla Norma avendo una intera carriera alle spalle, e soprattutto, all’opposto del cursus honorum dei soprani spinti, dopo aver lasciato il belcanto per percorrere quasi tutte le strade che il verismo apre ad una voce femminile. Così la signora Dessì ha affrontato uno dei must del Belcanto italiano nelle condizioni in cui lo affrontavano, di fatto, le cantanti delle generazioni precedenti proprio la Belcanto Renaissance, ossia le Cigna, o le Milanov, o le Caniglia ma senza l’impatto che loro sapevano dare grazie al volume.
E la direzione di Pidò anch’essa ci ha ricondotto a quel contesto culturale, per i tagli di da capi, cadenze et consimilia, i tempi stringati e marziali privi di alcun rallentando (tanto da indurre solisti e coro a sbandare in più punti, segnatamente nelle strette), assenza di suggerimenti stilistici al cast vocale, orchestra capace di produrre solo suoni secchi, aspri e fragorosi. E ciò sebbene il cronista radiofonico, a quanto pare, abbia sottolineato pignoleria e sensibilità filologica del maestro, come nel caso del ripristino di “certi pizzicati” che ben poco hanno pesato nel quadro generalmente “rétro". Ricordiamo che il maestro Pidò ha diretto di recente due dischi di dubbia filologia quali la Sonnambula Virgin e il recital di arie italiane della signora Dessay (che ci apprestiamo a recensire).
Ma vediamo un po' nel dettaglio come si è svolta la serata.
Il primo a entrare in pista è Rafal Siwek: voce più grossa che ampia, più da baritono che da basso puro (i gravi sono inconsistenti, l'acuto, per quanto tirato e oscillante, è più saldo), dinamica nulla (tutto sul forte), fraseggio non pervenuto (a parte qualche tentativo di forcella malamente risolto). Un Oroveso anch'egli old-fashioned, quindi.
Armiliato: la voce, benché leggera e tutt'altro che baritenorile (in basso c'è ben poco, se non suoni intubati che fanno pensare a un baritono alle prime armi, e l'acuto è regolarmente impiccato, specie sul passaggio), è grande e di bel colore, ma l’emissione è forzata e greve, e richiede il tempo veloce e marziale staccato da Pidò. Canta in modo generico e piatto, ed i suoni sfuggono indietro regolarmente sui sol di fior, senSI etc. La cabaletta è eseguita col taglio del da capo, nonché delle battute che precedono la coda. Inutile aspettarsi cadenze sulle corone o gli abbellimenti che certo spettavano al grande baritenore alla Donzelli. In fondo il Pollione senescente di Merritt all’Arena di Verona, che eseguiva da capo variati e variazioni anche in sede di recitativo, è rimasto un unicum senza seguito. Tornando al Pollione di ieri serva, va detto che il non più che corretto Ceron, nelle poche battute di Flavio, ha fatto sentire una voce meglio proiettata e con più squillo del collega. Nel corso della serata le nasalità diffuse già presenti in questa periclitante entrata si sono fatte sempre più insostenibili, arrivando a livelli difficili da sostenere nel duetto con Norma e poi nel concertato finale.
Preceduto da un coro tutt'altro che impeccabile, ecco l'ingresso della sacerdotessa (che il regista pensa bene di far scendere da una scaletta, scortata dai boys: detto tutto). Daniela Dessì approda a Norma con una voce molto affaticata nella zona fa sol la (sulla quale deve cantare l’intera serata), con poco legato: fatica a reggere la voce nei piani e non è mai stata un mostro di precisione nell’esecuzione della coloratura. Lo strumento è sempre di notevole bellezza timbrica e ha un corpo maggiore della media dei soprani (anche assai più giovani della Dessì) che affrontano questo ruolo, ma gli acuti sono strillati e i gravi assai prossimi all'inesistente. In difficoltà nel recitativo d'entrata, questa Norma sfoggia un’emissione non più in linea con le esigenze del Belcanto. Intelligente ed astuta, la Dessì cerca di nascondere i suoni acidi tentando piani, che però spesso suonano difficoltosi e aspri. Nel Casta Diva cerca il timbro soave, aprendo un po’ i suoni centrali, ma quando arrivano le salite al la del semBIANTE arrivano anche suoni malfermi. Lotta la Dessì cercando di alleggerire l’emissione, poco aiutata dai fiati corti, ma la lotta, impari, è con 15 anni di pesantissimo repertorio verista. Infila i suoni della seconda discesa dal la tenuto in seconda strofa (anche se si ha l'impressione che accenni), poi arriva una cadenza striminzita ed esangue. Dopo una congrua pausa per l'entusiasmo dei fan (che arrivano a richiedere un bis), accade un po’ di tutto nell’allegro Ah bello a me ritorna, tra tentativi di suoni leggeri, agilità infilate ed altre gridacchiate, urletti sui si bemolle e perigliosi passaggi sul do... insomma, una cabaletta alquanto verista!
L'entrata di Kate Aldrich rivela una voce piuttosto importante, di timbro non straordinario ma discreto calibro. Anche in questo caso, purtroppo, l'emissione è anni luce da quella richiesta dall'opera, dal personaggio e dalla circostanza drammatica. Adalgisa è giovane e smarrita: non ha senso che si metta a vociare come una mulatta Bersi in libera uscita. Come da pratica oggi corrente, la signora Aldrich canta sul capitale e non sugli interessi: la dote di natura glielo consente, per il momento. All'incontro con Pollione dovrebbe essere aggiunta, in luogo della cadenza (che non c'è), la mascagnana Mala Pasqua. C'è comunque da dire che, al cospetto dell vocalità assai brada di Armiliato, la Aldrich, che in generale ricorda le Adalgise à la Barbieri, potrebbe passare per una nipotina della signora Stignani.
Al primo duetto delle donne, la Dessì azzecca l’attacco Oh rimembranza in piano. La Aldrich continua a cantare senza pathos, un po’ per timbro e un po’ per indole, e non riesce a dare vita al ricordo palpitante della giovane, né Pidò l’aiuta sotto. Sceglie poi la variante bassa, punto bella nell’esecuzione gutturale del mi sotto il rigo. Dessì replica con un Sì fa core abbracciami davvero cempennato, eseguito con voce piccola ed acida. Le voci non si fondono, né le cantanti paiono molto affiatate: il belcanto moderno pretenderebbe migliori sincronie e purezza esecutiva a questo livello (si veda la cadenza finale). Norma tenta la rimonta nel finale primo: sa come deve accentare Va' non tremare o perfido, ma l’esecuzione annovera qualche strillo di troppo sui do e le quartine di discesa piuttosto sgangherate.
Il terzetto, eseguito tagliato, Vanne sì mi lascia indegno cerca l’accento veemente e la sonorità della voce scoprendo il suono (si vedano ad esempio i do centrali), ma al momento topico arriva stanca, con il fiato corto, e stenta affannosamente, sotto la spinta drammatica. Il re naturale in chiusa è da dimenticare.
Al recitativo che apre il secondo atto la Dessì insolitamente si compiace di una dizione artefatta, con le vocali caricate, anche lei contagiata dallo stile telefoni bianchi di cui è portabandiera Fiorenza Cedolins. Sono belle le intenzioni musicali del Teneri figli, con tanti piani e ricerca di intensità emotiva, ma la realizzazione è molto difficoltosa perché i piani sono malfermi e schiacciati. Il la bemolle di Ah NO, sono miei figli... anch'esso da dimenticare.
Al secondo duetto con Adalgisa, Norma canta la prima strofa del Deh con te li prendi con un filo di voce, una discreta precisione ed anche il si bemolle è meglio degli acuti precedenti. La Aldrich replica fiaccamente, con voce né bella né da virtuosa.
Mira o Norma staccato velocissimo da Pidò corre via senza magia o vera espressione, una vera toccata e fuga dalle note. La cadenza densa di suonacci per entrambe le cantanti oltre che tagliuzzata.
Sì fino all’ore estreme esalta i limiti delle signore: come da tradizione l’esecuzione è abbassata, ma i rallentando pure di tradizione, invece, vengono spazzati via dal ritmo battagliero funzionale a coprire le mende esecutive delle due protagoniste, imprecise nella coloratura e con un'emissione assai poco stilizzata.
Sorvoliamo sulla seconda scena dei druidi (poco o nulla da aggiungere a quanto detto su Siwek e sul perfettibile coro) e arriviamo al gran finale.
Nelle battute che introducono l'entrata del coro, a parte l’esecuzione del do la Dessì accenta con perizia E qui di sangue, sangue roman... e le frasi che seguono prima del Guerra guerra, che Pidò esegue tagliato della coda. Benissimo accentate anche le frasi che precedono In mia man alfin tu sei, che fa soffrire la cantante per la tessitura bassissima, quasi inarrivabile per lei. Accenta con forza appena la tessitura lo consente. I romani a cento a cento sono cantati con vocina imballata ed inacidita dalla fatica, e la coloratura cempennata. Meglio Già mi pasco de' tuoi guardi, eseguito piano con sarcasmo, mentre sono urlacci quelli sulla chiusa del Posso farti infelice al par di me. Ancora accenta tutte le battute che precedono Qual cor tradisti con autorità e perizia. Canta piano, anche se con voce malferma e aperta al centro, cercando l’espressione intensa e dolorosa. Idem dicasi per il finale, dove, nonostante a fine serata, arrivano ancora frasi attaccate dolcissime e di timbro. Poi riemerge la voce compromessa sui sol tenuti di CHIEDO, AMOR…..etc.. Insomma, una Norma arrivata troppo tardi nella carriera della signora Dessì, ricca di intenzioni, ma non sorretta da un adeguato status vocale e neppure, spiace constatarlo, da una preparazione impeccabile (troppo volte abbiamo distintamente udito la voce del suggeritore). Un vero peccato.
Lo spettacolo di Tiezzi, malgrado i bozzetti di Mario Schifano, si presenta all'insegna di un "ponnellismo di ritorno" poco o punto interessante, con un'ambientazione stile Impero già vista troppe volte anche in allestimenti dello stesso regista (Clemenza di Tito a Firenze), citazioni (da Jacques-Louis David e Canova, soprattutto) che tentano di "spiegare" quello che è già chiaro di per sé, i Druidi armati di picche che sembrano alabarde prese in prestito da Star Wars, i figli di Norma che giocano con il trenino elettrico (un omaggio al secolo dei Lumi?)... una proposta finto-nuova che non suscita reazioni, neppure i fischi della platea registicamente assai conservatrice di Bologna.
Pubblico folto (ma teatro non esaurito: vari buchi in platea e un paio di palchi deserti), assai plaudente ma rapido nel togliere il disturbo a fine recita.
V. Bellini - Norma
Atto II
Mira o Norma - Rosa Ponselle & Marion Telva, Gina Cigna & Ebe Stignani