Anche Verdi o meglio i personaggi di Verdi si innamorano. E' vero che lo fanno meno di quelli di Puccini o di Donizetti ed anche lo stesso Bellini, tutti facili agli affari di cuore e non solo, e quindi maestri autentici del duetto d'amore. Spesso gli amori verdiani o almeno la loro esternazione avviene sotto la spinta di situazioni cogenti ( Aida e Radames agonizzanti) o per altri e diversi intenti (Odabella e Foresto, la duchessa Elena d'Austria ed Arrigo) e per questo, forse, con riferimento a Verdi non si pensa subito all'amore. A smentire l'opinio comunis, però, ecco sei splendidi duetti d'amore.
Gilbert-Louis Duprez
Jérusalem - Atto II: Une pensée amère me rappelle mon père - Giacomo Aragall & Leyla Gencer (1963)
Il duetto che chiude il secondo atto di Jérusalem, rifacimento francese de I Lombardi alla Prima Crociata - e che, salvo pochi dettagli, ricalca sostanzialmente l'originale - rappresenta una specie di unicum nel linguaggio del primo Verdi: struttura e organizzazione melodica abbandonano (rectius cercano di abbandonare) per la prima volta gli schemi del melodramma di stampo donizettiano. Entrambi si aprono con un'ampia scena di recitativo strutturalmente assai libera (e difficilmente riscontrabile, sia in altre opere del periodo, sia in quelle immediatamente successive del medesimo autore), che alterna tensione drammatica e sfoghi lirici, dove riecheggia la lezione belliniana del Pirata - quasi una citazione di Nel furor delle tempeste (ossia Dans la honte et l'épouvante) - sino a sfociare nell'andante Une pensée amère (unico punto in cui sono evidenti le modifiche tra le due versioni dell'opera: infatti qui, rispetto all'originale, la linea vocale è abbassata di un tono e perde il suggestivo accompagnamento dell'arpa, in favore di un pizzicato degli archi, molto più elegante e raffinato, oltre ad essere semplificato nella struttura, privata degli a solo del soprano) e a concludersi, dopo un breve dialogo, spezzato dal coro fuori scena dell'esercito che incombe, con la stretta finale Ah! viens, viens! je t'aime. Se il contenuto musicale è analogo, tuttavia diversissima è la situazione drammatica: mentre in origine vi era una vergine lombarda disposta a tradire, per amore del bell'infedele, la propria patria (ma non la propria fede) per fuggire con lui e, di contro, il nobile figlio del Tiranno di Antiochia che rinnega famiglia, religione ed affetti per rivederla e poi morire, in Jerusalem si rientra nei ranghi del politicamente corretto (lasciando perdere, stavolta, equivoci di natura religiosa): Hélène non ha tradito la patria e la fede, nè si è invaghita di un nemico, semplicemente si ritrova con l'amato Gaston, prigioniera dell'Emiro di Ramla, e dalle sue prigioni cerca di fuggire. Insomma, una vicenda privata in cui la crociata costituisce uno spiacevole impiccio, laddove in origine la Storia irrompeva tragicamente e condizionava un menage non certo riducibile ad un qualsiasi amore contrastato. Il fascino risorgimentale del pezzo viene in parte compromesso dalla nuova situazione e dai nuovi versi, perdendosi quel misto di retorica e sincerità, sentimento e tensione politica, che caratterizzano il primo Verdi. Resta, tuttavia, un bell'esempio di quello che potrebbe definirsi l'amore al tempo degli anni di galera.
Domenico Donzelli
La traviata - Atto I: Un dì, felice, eterea - Alfredo Kraus & Beverly Sills (1970)
Il duetto del primo atto di Traviata è, per alcuni aspetti, il più anomalo duetto d'ampre di Verdi.
E' pur vero che l'iniziativa, come è giusto, parta dal tenore, Alfredo innamorato di una prostituta di alto rango, per giunta minata dalla tisi, ma è un duetto che va poi contro ogni convenzione. Per altro contraria alle convenzioni è tutta quanta la Traviata. Mi spiego: mai si professa amore ad una donna che vende l'amore, mai l'impacciato candore del giovane alle prime schermaglie d'amore (ruolo che normalmente tocca all'eroina) fa così rapida e profonda breccia nel cuore della prostituta.
A memoria e con possibilità di errore per difetto le esecuzioni memorabili di questo duetto provengono da Tito Schipa e Amelita Galli-Curci, Beniamino Gigli e Maria Caniglia, Maria Callas ed Alfredo Kraus. Recentemente confesso di avere riscoperto la grandezza vocale ed interpretativa di Frieda Hempel e Hermann Jadlowker. Dal vivo ricordo una splendida, sfumata ed elegante esecuzione ad opera di Giuseppe Sabbatini ed Darina Takova a Parma nel 2001.
Per l'amore verdiano sono ricorso ad Alfredo Kraus perfetto, in forza dell'algida esecuzione, nell'impaccio del primo approccio in compagnia di Beverly Sills, che spesso dimentichiamo sia stata una grande interprete e non solo un'impeccabile virtuosa.
Marianne Brandt
Don Carlos - Atto I: Di qual amor - Giuseppe Giacomini & Renata Scotto (1979)
Foresta di Fontainebleau, Francia, 1559.
Due adolescenti travolti da giovanile ardore, un bosco ombroso e pieno di malia, una notte in cui da un lato si decidono le sorti politiche di due regni, dall’altro le sorti altrettanto complesse del cuore.
In mezzo un duetto; lui finge di essere un uom della scorta spagnola, lei è la dubbiosa e romantica figlia del Re di Francia, smarritasi, provvidenzialmente, nella foresta e ancora non sa che chi le si para d’innanzi e le accorda la sua protezione, altri non è che l’infante di Spagna, Don Carlo e suo ardente promesso sposo.
Lei, Elisabetta di Valois, si lascia andare ed espone i suoi dubbi: “Conchiuder questa sera la pace si potrà?” e Carlo, fiducioso, “Sì, pria del dì novel stipular l’imeneo col figlio del mio Re, con Don Carlo si dè”.
Al nome del suo promesso, lei si illumina, vuole sapere, vuole conoscere la verità dei suoi sentimenti e dei propri, per lui lascerà la sua amata Francia…si, insomma, ne vale la pena?
Carlo le porge allora il ritratto dell’Infante e:”Possente Iddio! - Carlo son io…e t’amo, si t’amo!”.
La fanciulla prova un nuovo turbamento, è felice, anche in lei sente nascere l’amore per questo giovane spagnolo:” Di qual amor, a di quant’ardor quest’alma è piena! Al suo destin voler divin or m’incatena … Arcan terror m’avea nel cor, e ancor ne tremo. Amata io son, gaudio supremo ne sento in cor!”
Carlo, da parte sua, la travolge con una appassionata dichiarazione a cui è difficile sottrarsi: “Sì, t’amo, te sola io bramo, vivrò per te, per te morrò.”
Da lontano un colpo di cannone frena il crescente desiderio dei due; “Fausto di! Questo è segnal di festa! Sia lode al ciel, la pace è stretta!”.
Nuove luci illuminano la foresta, i due si abbracciano teneramente; ormai nessun timore li coglie in questo attimo di felicità, anche gli alberi gioiscono della pace e del loro crescente amore, tutto intorno è gioia!
Carlo, mentre si perde negli suoi occhi, si accorge che Elisabetta è tremante, ma lei lo rassicura: “Se tremo ancor, terror non è, mi sento già rinata! A voluttà nuova per me è l’alma abbandonata.”.
Ormai sicuri dei loro sentimenti ed ebbri d’amore rinnovano i loro giuramenti di fronte al cor ed al cielo loro testimoni.
Il tutto mentre gli archi ed i fiati stendono loro un tappeto sonoro, trapuntato di infantile e scherzosa dolcezza e successivamente si allarga in un morbido ed etereo mare che avvolge voluttuoso le voci.
Ancora non sanno cosa li aspetta…
Giulia Grisi
Un ballo in maschera - Atto II: Teco io sto - Richard Tucker & Martina Arroyo (1970)
E' il più completo, appassionato, esemplare duetto d'amore di Verdi. Segna il trapasso dal Verdi a cabaletta al Verdi maturo.
Credo che solo Maria di Rohan, e Riccardo di Chalais, Raoul e Valentina o Tristano ed Isotta si confessino un amore altrettanto appassionante. Nessuno,però, contrastato e sofferto come quello degli innamorati di Boston.
E' la reciproca confessione di un amore che la convenzione sociale vuoi sotto il profilo del rispetto per il marito della stima ossia della riconoscenza per l'amico fedelissimo impediscono.
Eppure nel quarto d'ora nel "luogo di delitto e morte" Riccardo ed Amelia prima titubanti e spaventati loro stessi per quello, che non possono non dire e non udire, poi presi dalla passione sono i più appassionati innamorati di Verdi, lontani sia pur per pochi minuti da ogni condizionamento, dovere o timore.
L'esecuzione forse non è accuratissima ma veramente travolgente, come, appunto, l'amore di Amelia e Riccardo. Godetevela, non pensate al presente......
Adolphe Nourrit
I due Foscari - Atto II: No, non morrai - Leyla Gencer & Mirto Picchi (1957)
Fra le opere degli anni di galera uno dei duetti più belli e intensi scritti da Verdi è sicuramente quello riservato alla coppia di coniugi dei Due Foscari. Lucrezia entra in scena sul tema che già l'ha presentata alla sua entrata al primo atto, giunta nelle carceri a dare al marito Jacopo la notizia della condanna all'esilio pronunciata dal Consiglio dei X . L'atmosfera delineata da Verdi è subito molto carica di pathos nel canto di Lucrezia che nel rivedere lo sposo trova gli unici momenti di vera tenerezza in tutta l'opera. I due sposi cantano la loro malinconia, vittime di un destino che li lascia in vita ma costretti a separarsi per sempre, negando loro persino il conforto di poter dividere insieme il dolore. Il loro canto è di speranza, il canto di un dolore che trova conforto solo nell'amore l'uno dell'altra, come esprime la cabaletta del duetto, che dall'Allegro moderato iniziale diventa sempre più estatica nel finale.
L'esecuzione scelta brilla soprattutto per la presenza di Leyla Gencer nelle vesti di Lucrezia Contarini e del direttore d'orchestra, Tullio Serafin. A Leyla Gencer il merito di restituire perfettamente la grandezza del personaggio, non facendone mai venire meno il rango nobiliare anche nei momenti di sdegno ed ira tramite un accento sempre nobile e composto che nel duetto con lo sposo sa trovare però perfetti accenti di tenerezza e malinconia, raggiunti ovviamente non solo tramite l'intelligenza dell'interprete ma soprattutto grazie alla maestria della cantante. Esemplare invece Serafin non solo nei colori dell'orchestra, che accompagna con viva teatralità e differenzia benissimo i diversi stati d'animo dei due protagonisti nello svolgersi del brano, ma anche per l'intelligenza dell'intervento sullo spartito, vuoi facendo invertire le linee dei due sposi nel finale della sezione centrale onde favorire i due interpreti nelle zone più facili della loro vocalità, vuoi nel tagliare tradizionalmente la cabaletta del duetto ma lasciando in primo enunciato la sublime frase Perduto ogn'altro bene dell'amor tuo vivrò all'esecuzione solistica della Gencer prima dell'unisono finale.
Antonio Tamburini
Otello - Atto I: Già nella notte densa - Georges Thill & Jeanne Segala (1938)
L'ultimo grande duetto d'amore verdiano è quello che chiude il primo atto di Otello.
Fenton e Nannetta avranno diritto alle loro parentesi di tenerezza, ma saranno per l'appunto solo parentesi, nel quadro di un discorso musicale che ha quasi del tutto abolito il concetto di numero chiuso, in parte ancora rintracciabile nell'opera precedente. Inoltre gli amorosi di Windsor non potrebbero competere, per forza drammatica e copia di esigenze della scrittura vocale, con quelli di Cipro.
E' un duetto la cui fama è almeno pari alla bellezza. E' la prima notte di nozze dei protagonisti, ovviamente idealizzata e sublimata dalla musica, in cui trovano spazio la rievocazione delle sventure passate, la dolcezza dell'amplesso coniugale, l'ombra di un presagio oscuro che non basta a offuscare lo spettacolo del mare notturno e l'effimera felicità degli sposi. Abbiamo scelto, da veri passatisti, una registrazione in francese, protagonista Georges Thill, uno dei massimi tenori lirico-spinti di cui il disco abbia lasciato traccia. Lo squillo quasi insultante e la grande facilità in alto e in basso non impediscono al cantante di legare i suoni e di essere, all'occorrenza, soave e carezzevole, vedi ad esempio l'attacco, che basta da solo a definire il personaggio, guerriero nobilissimo e amante impaziente, ma al tempo stesso estremamente dolce. Accanto a lui Jeanne Segala, soprano la cui carriera si svolse prevalentemente in teatri di provincia: l'interprete non è memorabile, ma l'esecutrice vocale appare più che solida, e comunque non sfigura al fianco del collega, il che non è poco.
L'ascolto è ovviamente dedicato agli Otelli e gentili signore che il teatro lirico ci ha offerto nelle ultime stagioni e, più ancora, a quelli che fonti ufficiali od ufficiose accreditano quali prossimi venturi.
Scarica tutti gli ascolti (file ZIP)
Gilbert-Louis Duprez
Jérusalem - Atto II: Une pensée amère me rappelle mon père - Giacomo Aragall & Leyla Gencer (1963)
Il duetto che chiude il secondo atto di Jérusalem, rifacimento francese de I Lombardi alla Prima Crociata - e che, salvo pochi dettagli, ricalca sostanzialmente l'originale - rappresenta una specie di unicum nel linguaggio del primo Verdi: struttura e organizzazione melodica abbandonano (rectius cercano di abbandonare) per la prima volta gli schemi del melodramma di stampo donizettiano. Entrambi si aprono con un'ampia scena di recitativo strutturalmente assai libera (e difficilmente riscontrabile, sia in altre opere del periodo, sia in quelle immediatamente successive del medesimo autore), che alterna tensione drammatica e sfoghi lirici, dove riecheggia la lezione belliniana del Pirata - quasi una citazione di Nel furor delle tempeste (ossia Dans la honte et l'épouvante) - sino a sfociare nell'andante Une pensée amère (unico punto in cui sono evidenti le modifiche tra le due versioni dell'opera: infatti qui, rispetto all'originale, la linea vocale è abbassata di un tono e perde il suggestivo accompagnamento dell'arpa, in favore di un pizzicato degli archi, molto più elegante e raffinato, oltre ad essere semplificato nella struttura, privata degli a solo del soprano) e a concludersi, dopo un breve dialogo, spezzato dal coro fuori scena dell'esercito che incombe, con la stretta finale Ah! viens, viens! je t'aime. Se il contenuto musicale è analogo, tuttavia diversissima è la situazione drammatica: mentre in origine vi era una vergine lombarda disposta a tradire, per amore del bell'infedele, la propria patria (ma non la propria fede) per fuggire con lui e, di contro, il nobile figlio del Tiranno di Antiochia che rinnega famiglia, religione ed affetti per rivederla e poi morire, in Jerusalem si rientra nei ranghi del politicamente corretto (lasciando perdere, stavolta, equivoci di natura religiosa): Hélène non ha tradito la patria e la fede, nè si è invaghita di un nemico, semplicemente si ritrova con l'amato Gaston, prigioniera dell'Emiro di Ramla, e dalle sue prigioni cerca di fuggire. Insomma, una vicenda privata in cui la crociata costituisce uno spiacevole impiccio, laddove in origine la Storia irrompeva tragicamente e condizionava un menage non certo riducibile ad un qualsiasi amore contrastato. Il fascino risorgimentale del pezzo viene in parte compromesso dalla nuova situazione e dai nuovi versi, perdendosi quel misto di retorica e sincerità, sentimento e tensione politica, che caratterizzano il primo Verdi. Resta, tuttavia, un bell'esempio di quello che potrebbe definirsi l'amore al tempo degli anni di galera.
Domenico Donzelli
La traviata - Atto I: Un dì, felice, eterea - Alfredo Kraus & Beverly Sills (1970)
Il duetto del primo atto di Traviata è, per alcuni aspetti, il più anomalo duetto d'ampre di Verdi.
E' pur vero che l'iniziativa, come è giusto, parta dal tenore, Alfredo innamorato di una prostituta di alto rango, per giunta minata dalla tisi, ma è un duetto che va poi contro ogni convenzione. Per altro contraria alle convenzioni è tutta quanta la Traviata. Mi spiego: mai si professa amore ad una donna che vende l'amore, mai l'impacciato candore del giovane alle prime schermaglie d'amore (ruolo che normalmente tocca all'eroina) fa così rapida e profonda breccia nel cuore della prostituta.
A memoria e con possibilità di errore per difetto le esecuzioni memorabili di questo duetto provengono da Tito Schipa e Amelita Galli-Curci, Beniamino Gigli e Maria Caniglia, Maria Callas ed Alfredo Kraus. Recentemente confesso di avere riscoperto la grandezza vocale ed interpretativa di Frieda Hempel e Hermann Jadlowker. Dal vivo ricordo una splendida, sfumata ed elegante esecuzione ad opera di Giuseppe Sabbatini ed Darina Takova a Parma nel 2001.
Per l'amore verdiano sono ricorso ad Alfredo Kraus perfetto, in forza dell'algida esecuzione, nell'impaccio del primo approccio in compagnia di Beverly Sills, che spesso dimentichiamo sia stata una grande interprete e non solo un'impeccabile virtuosa.
Marianne Brandt
Don Carlos - Atto I: Di qual amor - Giuseppe Giacomini & Renata Scotto (1979)
Foresta di Fontainebleau, Francia, 1559.
Due adolescenti travolti da giovanile ardore, un bosco ombroso e pieno di malia, una notte in cui da un lato si decidono le sorti politiche di due regni, dall’altro le sorti altrettanto complesse del cuore.
In mezzo un duetto; lui finge di essere un uom della scorta spagnola, lei è la dubbiosa e romantica figlia del Re di Francia, smarritasi, provvidenzialmente, nella foresta e ancora non sa che chi le si para d’innanzi e le accorda la sua protezione, altri non è che l’infante di Spagna, Don Carlo e suo ardente promesso sposo.
Lei, Elisabetta di Valois, si lascia andare ed espone i suoi dubbi: “Conchiuder questa sera la pace si potrà?” e Carlo, fiducioso, “Sì, pria del dì novel stipular l’imeneo col figlio del mio Re, con Don Carlo si dè”.
Al nome del suo promesso, lei si illumina, vuole sapere, vuole conoscere la verità dei suoi sentimenti e dei propri, per lui lascerà la sua amata Francia…si, insomma, ne vale la pena?
Carlo le porge allora il ritratto dell’Infante e:”Possente Iddio! - Carlo son io…e t’amo, si t’amo!”.
La fanciulla prova un nuovo turbamento, è felice, anche in lei sente nascere l’amore per questo giovane spagnolo:” Di qual amor, a di quant’ardor quest’alma è piena! Al suo destin voler divin or m’incatena … Arcan terror m’avea nel cor, e ancor ne tremo. Amata io son, gaudio supremo ne sento in cor!”
Carlo, da parte sua, la travolge con una appassionata dichiarazione a cui è difficile sottrarsi: “Sì, t’amo, te sola io bramo, vivrò per te, per te morrò.”
Da lontano un colpo di cannone frena il crescente desiderio dei due; “Fausto di! Questo è segnal di festa! Sia lode al ciel, la pace è stretta!”.
Nuove luci illuminano la foresta, i due si abbracciano teneramente; ormai nessun timore li coglie in questo attimo di felicità, anche gli alberi gioiscono della pace e del loro crescente amore, tutto intorno è gioia!
Carlo, mentre si perde negli suoi occhi, si accorge che Elisabetta è tremante, ma lei lo rassicura: “Se tremo ancor, terror non è, mi sento già rinata! A voluttà nuova per me è l’alma abbandonata.”.
Ormai sicuri dei loro sentimenti ed ebbri d’amore rinnovano i loro giuramenti di fronte al cor ed al cielo loro testimoni.
Il tutto mentre gli archi ed i fiati stendono loro un tappeto sonoro, trapuntato di infantile e scherzosa dolcezza e successivamente si allarga in un morbido ed etereo mare che avvolge voluttuoso le voci.
Ancora non sanno cosa li aspetta…
Giulia Grisi
Un ballo in maschera - Atto II: Teco io sto - Richard Tucker & Martina Arroyo (1970)
E' il più completo, appassionato, esemplare duetto d'amore di Verdi. Segna il trapasso dal Verdi a cabaletta al Verdi maturo.
Credo che solo Maria di Rohan, e Riccardo di Chalais, Raoul e Valentina o Tristano ed Isotta si confessino un amore altrettanto appassionante. Nessuno,però, contrastato e sofferto come quello degli innamorati di Boston.
E' la reciproca confessione di un amore che la convenzione sociale vuoi sotto il profilo del rispetto per il marito della stima ossia della riconoscenza per l'amico fedelissimo impediscono.
Eppure nel quarto d'ora nel "luogo di delitto e morte" Riccardo ed Amelia prima titubanti e spaventati loro stessi per quello, che non possono non dire e non udire, poi presi dalla passione sono i più appassionati innamorati di Verdi, lontani sia pur per pochi minuti da ogni condizionamento, dovere o timore.
L'esecuzione forse non è accuratissima ma veramente travolgente, come, appunto, l'amore di Amelia e Riccardo. Godetevela, non pensate al presente......
Adolphe Nourrit
I due Foscari - Atto II: No, non morrai - Leyla Gencer & Mirto Picchi (1957)
Fra le opere degli anni di galera uno dei duetti più belli e intensi scritti da Verdi è sicuramente quello riservato alla coppia di coniugi dei Due Foscari. Lucrezia entra in scena sul tema che già l'ha presentata alla sua entrata al primo atto, giunta nelle carceri a dare al marito Jacopo la notizia della condanna all'esilio pronunciata dal Consiglio dei X . L'atmosfera delineata da Verdi è subito molto carica di pathos nel canto di Lucrezia che nel rivedere lo sposo trova gli unici momenti di vera tenerezza in tutta l'opera. I due sposi cantano la loro malinconia, vittime di un destino che li lascia in vita ma costretti a separarsi per sempre, negando loro persino il conforto di poter dividere insieme il dolore. Il loro canto è di speranza, il canto di un dolore che trova conforto solo nell'amore l'uno dell'altra, come esprime la cabaletta del duetto, che dall'Allegro moderato iniziale diventa sempre più estatica nel finale.
L'esecuzione scelta brilla soprattutto per la presenza di Leyla Gencer nelle vesti di Lucrezia Contarini e del direttore d'orchestra, Tullio Serafin. A Leyla Gencer il merito di restituire perfettamente la grandezza del personaggio, non facendone mai venire meno il rango nobiliare anche nei momenti di sdegno ed ira tramite un accento sempre nobile e composto che nel duetto con lo sposo sa trovare però perfetti accenti di tenerezza e malinconia, raggiunti ovviamente non solo tramite l'intelligenza dell'interprete ma soprattutto grazie alla maestria della cantante. Esemplare invece Serafin non solo nei colori dell'orchestra, che accompagna con viva teatralità e differenzia benissimo i diversi stati d'animo dei due protagonisti nello svolgersi del brano, ma anche per l'intelligenza dell'intervento sullo spartito, vuoi facendo invertire le linee dei due sposi nel finale della sezione centrale onde favorire i due interpreti nelle zone più facili della loro vocalità, vuoi nel tagliare tradizionalmente la cabaletta del duetto ma lasciando in primo enunciato la sublime frase Perduto ogn'altro bene dell'amor tuo vivrò all'esecuzione solistica della Gencer prima dell'unisono finale.
Antonio Tamburini
Otello - Atto I: Già nella notte densa - Georges Thill & Jeanne Segala (1938)
L'ultimo grande duetto d'amore verdiano è quello che chiude il primo atto di Otello.
Fenton e Nannetta avranno diritto alle loro parentesi di tenerezza, ma saranno per l'appunto solo parentesi, nel quadro di un discorso musicale che ha quasi del tutto abolito il concetto di numero chiuso, in parte ancora rintracciabile nell'opera precedente. Inoltre gli amorosi di Windsor non potrebbero competere, per forza drammatica e copia di esigenze della scrittura vocale, con quelli di Cipro.
E' un duetto la cui fama è almeno pari alla bellezza. E' la prima notte di nozze dei protagonisti, ovviamente idealizzata e sublimata dalla musica, in cui trovano spazio la rievocazione delle sventure passate, la dolcezza dell'amplesso coniugale, l'ombra di un presagio oscuro che non basta a offuscare lo spettacolo del mare notturno e l'effimera felicità degli sposi. Abbiamo scelto, da veri passatisti, una registrazione in francese, protagonista Georges Thill, uno dei massimi tenori lirico-spinti di cui il disco abbia lasciato traccia. Lo squillo quasi insultante e la grande facilità in alto e in basso non impediscono al cantante di legare i suoni e di essere, all'occorrenza, soave e carezzevole, vedi ad esempio l'attacco, che basta da solo a definire il personaggio, guerriero nobilissimo e amante impaziente, ma al tempo stesso estremamente dolce. Accanto a lui Jeanne Segala, soprano la cui carriera si svolse prevalentemente in teatri di provincia: l'interprete non è memorabile, ma l'esecutrice vocale appare più che solida, e comunque non sfigura al fianco del collega, il che non è poco.
L'ascolto è ovviamente dedicato agli Otelli e gentili signore che il teatro lirico ci ha offerto nelle ultime stagioni e, più ancora, a quelli che fonti ufficiali od ufficiose accreditano quali prossimi venturi.
Scarica tutti gli ascolti (file ZIP)
5 commenti:
post meraviglioso... ringrazio!
Splendidi post, ma entrambi non sono disponibili per l'ascolto (sia quello sul Trovatore che questo sui duetti d'amore)...
E' stranissima questa cosa, Velluti, ho appena provato e li ho scaricati senza problemi... ma il collega Nourrit mi segnala difficoltà analoghe alle tue sugli stessi brani, quindi credo sia un problema del server "ballerino"... anche più del solito! Comunque per la puntata del Mese verdiano di domani (ammicco ammicco :D ) vedremo di caricare altrove gli ascolti...
Saluti
AT
Grazie degli ascolti meravigliosi!
Del duetto da Gerusalemme è bello sentire la coppia Gencer-Aragall. Ho sentito questi due interpreti in una Caterina Cornaro napoletana e devo dire che le loro due voci si uniscono così bene insieme. La serietà dell'approcio di questa musica "difficile" è straordinaria e insieme ad una direzione d'orchestra delicata ed equilibrata porta ad un apprezzamento delle convenienze (...ed inconvenienze) del cosidetto primo Verdi.
Il duo Sills-Kraus ci fa giustamente ricordare le doti interpretative straordinarie della Sills che comunque all'epoca si alternava con grande disnvoltura Haendel e Vivaldi con Donizetti e Lehar arrivando a opere moderne come The Ballad of Baby Doe. (http://www.youtube.com/watch?v=J_BJK8G6Zlw). Altroché le recite "traviate" di recente memoria (parlo di questi ultimi anni...) dove ci imbrogliano con parole vuote e dvd inutili. Kraus è sempre signorile e la accompagna come un vero collega nella cadenza finale togliendo veramente il fiato e preparandoci psicologiamente al destino di questi due personaggi una volta amati e "rispettati".
Ho assistito a questo Don Carlo. Ho ottima memoria di essere arrivato a fine serata (opera fatta in 5 atti) dicendo "Come? Finita?" Forse la due voci non erano nate per duettare insieme ma l'intelligenza della Scotto, l'intergità artistica di Giacomini e la direzione di Levine, che è storicamente un direttore PER cantanti, hanno portato a termine un Verdi fatto con coscienza artistica di altissimo livello.
Il duetto dal Ballo con il duo Arroyo-Tucker deve essere dtatto a uno dei famosi galà del Met. Anche se all'epoca Tucker, Bergonzi, Labò, Prevedi, Konya et al si alternavano in questo ruolo con grande successo. I soprani erano Arroyo, Price, Nilsson, Rysanek, Curtis-Verna, Tucci et al.
Che dire? Avendo ascoltato varie combinazioni dei sopraddetti nomi si rimpiange altri tempi e si spera in un recupero (o forse "risveglio" sarebbe meglio) di una vocalità ormai quasi comletamente perduta.
Degno di nota il "do" di Tucker che regalava solo se in duetto o registazione in studio. Certo non chiedeva abbassamenti di intere opere o di intere scene più di mezzo tono come fa un certo suo collega che, senza alcun grido allo scandalo, riesce sfacciatamente, insistendo ancora calcare le scene. L'avessere POTUTO fare i vari del Monaco o Corelli o altri di QUEL livello... Mi ricordo una registrazione del Prologo da I Pagliacci fatta da del Monaco molto criticato all'epoca. Questa scatoletta di Pandora non vorrei aprire qui però.
I Due Foscari. Ancora Verdi. Ancora Gencer (questa volta con un sempre sottovalutato Picchi). Ancora una lezione - DA TUTTI! Solsiti, orchestra, coro e direttore d'orchestra. Una volta i teatri italiani erano famosi per queste "lezioni"!
Otello... Ho sempre ammirato Thill e riscoltandolo qui non fa rimpiangere certo il cambio lingua. Una Segala consegna una Desdemona piena di sentimento e onestà. Oggigiorno sarebbe un lusso averla sui paolcoscenici.
Acoltando la discesa finale dell'arpa sembra portarci verso una vera "notte densa" di musica e teatro lirico. Ottima scelta come finale...
post molto belli e curati,ottimi ascolti.
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