sabato 10 ottobre 2009

Mese verdiano V - Il mito del primo uomo: Alfredo Germont

Può sembrare una provocatoria proposizione parlare di mito del primo uomo con riferimento ad Alfredo Germont. Infatti allestire, senza troppi rischi, Traviata significa reperire una protagonista che sia in grado di superare le difficoltà vocali, ubicate principalmente al primo atto e quelle interpretative distribuite, in egual misura, in quelli successivi. I due Germont passano in secondo piano. Spesso il figlio più del padre.

Eppure molti grandissimi tenori hanno interpretato nell’intero arco della loro carriera il personaggio talvolta per il contingente motivo che, scritturati nella medesima stagione per più titoli vi fosse compresa Traviata, richiesta dalla divina di turno, altre per motivi coniugali come accadde ad esempio ad Ernesto Nicolini, ossia il signor Adelina Patti, o a Roberto Stagno, che, quarantenne, invaghitosi della bella Gemma Bellincioni gettò alle ortiche il giustacuore dell’eroe romantico per la giacchetta del tenore verista e di Alfredo Germont o per debuttare al riparo di una diva in un grande teatro, come accadde a Beniamino Gigli nella prima stagione del Met dopo la morte di Caruso, o per sostenere una diva non più al massimo delle proprie possibilità come Tito Schipa a Roma (1935) con Claudia Muzio o a Alfredo Kraus a Lisbona con Maria Callas.
Eppure il giovane Germont è un personaggio interessantissimo e, nonostante l’invadente presenza vocale ed interpretativa della protagonista, di grande difficoltà interpretativa per i mutamenti di canto e drammaturgici richiesti. Spesso i cantanti che da Alfredo lucrarono costanti e sicuri successi erano in primis grandi interpreti. Basti il nome di Tito Schipa. Quanto alle difficoltà in termini puramente vocali Alfredo insiste sempre sulla zona del cosiddetto passaggio e ciò basta a dar luogo ad una pesante scrematura fra gli esecutori. Sotto il profilo interpretativo deve essere elegante e brillante nel sistematicamente scempiato brindisi, arrivato al duetto “Un dì felice, eterea” deve esprimere dolcezza, innocenza e castità per sedurre la cinica prostituta. L’aspetto giovanile ed estatico, per giunta sempre in zona di passaggio connota l’aria del secondo atto, dalla cabaletta, un tempo spesso omessa Alfredo comincia a cantare con lo slancio degli altri tenori verdiani e nel secondo quadro dell’atto è chiamato a grande tensione drammatica e vocale sia nella scena del gioco che in quella della borsa; al terzo atto con la morente Violetta ritorna ad essergli richiesta una vocalità estatica e sognante.
Per rendersi conto delle difficoltà che Verdi ha predisposto per Alfredo basta sentire la prestazione di Giuseppe Di Stefano nella famosa Traviata scaligera o le recenti performance di Marcelo Alvarez e Jonas Kaufmann tutte connotate da voce stentorea, sistematico diniego dei segni di espressione, accento plebeo, falsettini nei tentativi –tanti o pochi che fossero- di smorzare o modulare. E non si adduca, come pietosa scusa, che Alfredo sia un ruolo da tenore leggero. Per parte mia posso dire che in quarant’anni di frequentazioni operistiche il solo Alfredo Kraus, pur in età da Germont père, rispondeva a ciò che Verdi prevede e che nessuno degli attuali può competre con gli Alfredo sino al 1950. E non mi riferisco ai divi, ma anche a cantanti di buona carriera come Jagel, esemplare al Met con la assai meno esemplare Rosa Ponselle.
Non è neppure vero, anzi è falso che Alfredo sia parte per tenore lirico o lirico leggero. Il secondo quadro del secondo atto non perdona ed i tenori leggeri che cantavano Afredo erano capaci del Ballo in maschera come Bonci, di cantare senza sfigurare il ruolo come Schipa con la Cigna.
Quando si sa cantare, si rispettano i segni di espressione. Alfredo si addice, a meraviglia, anche ad un tenore lirico spinto.
Quanto al numero introduttivo, il famoso brindisi, Patzak, Lemeshev e Wittrisch sono, infatti, tenori lirici o addirittura lirico-spinti, in grado di rispettare le prescrizioni di leggerezza, eleganza previste da Verdi, ricordando che siamo, appunto, nella sala da pranzo di una ricca mantenuta e non all’osteria.

Per l’esecuzione esemplare e per l’interprete si deve riproporre il famoso ed inflazionato Tito Schipa, che domina la scrittura sul passaggio, senza forzature con un facile e dolce la acuto di “croce e delizia”. In linea di principio il generoso principiante che canta Alfredo con il cuore in mano principia a stimbrarsi sul “balenaste innante”, si strangola su “vissi di ignoto amor” e completa lo scempio della propria gola e del canto d’amore su “croce e delizia”. I nomi famosissimi li ho già proposti.
Per amore della storia interpretativa non posso non proporre lo stesso brano eseguito da Frieda Hempel ed Hermann Jadlowker, tenore drammatico, talvolta un poco fisso sugli acuti estremi, ma capace di una mezza voce veramente alitata e di piani e pianissimi dolci e timbrati. Fu anche l’ultimo vero tenore di agilità in grado di competere con i maggiori soprani d’agilità (coppia fissa in teatro ed in sala di registrazione con la Hempel) in quanto ad inserimenti ed abbellimenti. Nel duetto del primo atto smorza e lega con facilità ed esegue nel "dell'universo intero" la variante con salita al la acuto, che normalmente i soprani inserivano all’aria. Seguito dalla Hempel che ha la possibilità di salire sino al re sovracuto. Cadenza naturalmente arricchita e rimpolpata.

Nell’aria la scrittura vocale di Alfredo non perdona. In genere primeggiano i tenori di grazia come Smirnov o Bonci che cantano tutto con facilità stupefacente. Quanto a Bonci non si comprende la taccia di interprete inerte. E’ sempre un attore vocale sia chiaro e lo testimoniano il “sorriso dell’amore” con tanto di rallentando e la smorzatura sul sol di “quasi in ciel”. Paradossalmente Beniamino Gigli (Londra 1939) dal vivo mostra il segno del repertorio pesante che cantava in quegli anni. Certo l’attacco, con esibizione del famoso misto “fa il personaggio” ragazzo ed innamorato (in realtà Gigli ne aveva quasi cinquanta di anni in quelle recite), ma in zona medio alta le smorzature e la dinamica è limitata e lo stesso smalto della voce non è quello dell’attacco.
A riprova che un grande Alfredo può anche essere un tenore spinto basta ascoltare Aureliano Pertile. Registrazione del 1923, coeva alle recite scaligere, dirette da Toscanini, Pertile è con una voce in natura ingrata, vario e sfumato nel recitativo emette nel cantabile note di passaggio facili, timbrate e squillanti cui unisce dolcezza e lucentezza. Mai un suono stimbrato, mai un suono “indietro”. Il vero culmine vocale ed interpretativo di Pertile è la scena della borsa, staccati ad tempo lentissimo che Pertile regge con grande facilità, accento scandito, dizione scolpita, acuti sfolgoranti come il sol diesis di “or tutti a me”, il la di “tutto accettar potea“ con tanto di forcella ed il la bem di “testimoni vi chiamo”, sino al di ”pagata io l’ho”. E’ un tenore che canta con lo slancio verdiano più autentico e senza nessun effetto verista. Anche qui in questa litania di confronti invito a sentire lo scempio della borsa che fanno Di Stefano o Alvarez tra gridi e singhiozzi. Anche Tucker nel 1946, in cattiva compagnia con Licia Albanese e tenore di slancio ed enfasi, impartisce lezione di gusto e di canto.
E per chiudere con gli Alfredo “robusti” ascoltare il giovane Rosvaenge (1928) voce di splendido colore, accento sognante, fermezza di suono ad ogni quota ed ogni intensità. Fra Pertile e Rosveange, tenuto delle differenze in natura è l’autentica lotta fra titani, anche in un personaggio a torto ritenuto di contorno. Alfredo affidato a simili cantanti è in grado di rivaleggiare con le maggiori protagoniste.

All’ultimo duetto Alfredo ritorna ad essere innamorato e tenero. Le registrazioni storiche sono Tito Schipa ed Amelita Galli Curci timbri dolci e diafani come anche la situazione impone, Maria Callas nel 1958 e con Cesare Valletti a Londra e con Alfredo Kraus a Lisbona. Aggiungo che in teatro a Parma nel 2001 Giuseppe Sabbatini e Darina Takova furono eleganti e consoni al momento scenico della imminente morte.
Propongo un ascolto piuttosto particolare a dimostrare che interpreti stimati in altro repertorio (Hempel e Jadlowker) possono dare luogo ad una esecuzione esemplare. Il tenore attacca dolcissimo ed elegante, come si conviene all’illusorio ultimo canto d’amore, gli replica diafana e trasognata la Hempel che, progressivamente, anziché intensificare il volume e l’espressione è sempre più in un’altra dimensione. Sarà una visione donizettiana di Verdi, ma è un numero da veri grandi interpreti, prima che vocalisti.


Gli ascolti

Verdi - La traviata


Atto I

Libiam ne' lieti calici - Julius Patzak & Hedwig Von Debicka (1931), Marcel Wittrisch & Margarete Teschemacher (1932), Sergei Lemeshev & Elizaveta Shumskaya (1951)

Un dì felice, eterea - Hermann Jadlowker & Frieda Hempel (1914), Tito Schipa & Amelita Galli-Curci (1924)

Atto II

Lunge da lei...De' miei bollenti spiriti - Alessandro Bonci (1906), John McCormack (1910), Aureliano Pertile (1923), Helge Rosvaenge (1928), Beniamino Gigli (1939), Giuseppe Di Stefano (1949)

Alfredo! Voi! - Richard Tucker (con Licia Albanese - 1946)

Or tutti a me!...Ogni suo aver tal femmina - Aureliano Pertile (1923), Richard Tucker (1946), Jonas Kaufmann (2007)

Atto III

Parigi, o cara - Hermann Jadlowker & Frieda Hempel (1914), Beniamino Gigli & Maria Caniglia (1939)


Scarica tutti gli ascolti via Rapidshare (file .zip)

8 commenti:

mozart2006 ha detto...

Non è un appunto ma solo una domanda.
Come mai non avete citato Bergonzi? Eppure le sue due incisioni del ruolo sono tra le migliori e anche dal vivo (io lo sentii all´Arena nel 1970) era un Alfredo tra i più rifiniti e completi.

Saluti.

scattare ha detto...

Secondo me, Bergonzi era dato per scontato. Avevo visto un Tucker anni'60 dal vivo con la Tucci e anche se la voce gli era "drammaticizzata" di molto sia suo Alfredo che il Duca erano tra i migliori dell'epoca.
Il problema oggi non é che qualche tenore con voce decisamente più "spinto" non vuol fare Alfredo, ma con una scelta di Violetta dai direttori artistici di solo soprani leggerini, come fa un povero tenore con un pò più di suono mettersi accanto ad un soprano così con tutti che gli direbbero "Canti troppo. Più leggero, caro. Se no..."
Poi... trovare un vero tenore lirico-spinto sarebbe impresa ardua e difficile anche se di recente ho sentito qualche cosa d'interessante all'estero sperando che nel frattempo questi giovanissimi non vengono presi dalla smania di guadagnare tanto saltando la parte "sviluppo muscolare" dell'organo vocale,
I problemi son tanti.
Io dò sempre la colpa al settore artistico dei teatri. Una volta davano in mano (o orecchie!) a rappresentanti il lavoro di viaggiare in tutta Europa assistendo a spettacoli nei vari teatri sperando di scoprire qualcuno che volesse lasciare la "sicurezza" del contratto fisso e mettersi sulla strada del libero professionismo. O facevano audizioni dal vivo regolarmente (rammento che non c'erano i cd/dvd allora) per ascoltare eventuale talenti, valutare, e poi vedere. Oggi giocano a "video games" sui cellulari durante audizioni o concorsi e presenziano solo in compagnia di agenzie o loro rappresentanti.
Ma dove mi sono portato? Torniamo a noi.
Patzak, Wittrisch, Bonci, Mc Cormack, Pertile, Roswaenge - Ognuno diverso. Ognuno fa Verdi con il suo... Schipa, poi, cosa è in quel duetto!!! La coppia Gigli-Caniglia in Traviata, ma anche in Tosca e Aida, è sempre interessante. Vedere la modulazione sia dell'uno che dell'altra nei duetti é cosa da imparare per qualsiasi cantante. Ma quando si ha tecnica, si ha tutto. Si è padrone dell proprio strumento. Continuo a sospirare e dire, "Altri tempi..."
Bisogna, poi, ricordare che comunque queste registrazioni - quasi tutte - sono state fatte da persone che avevano studiato con persone che probabilmente conoscevano i vari compositori. Sapevano come gestire suoni, voci, repertorio, ecc.
Ascolti deliziosi e una parte nuovi per me. Grazie...

justsmile ha detto...

Ma quell'ascolto di Kaufmann? Sembra quasi non ce la facesse di finire le frasi. Ma come fa con "Lohengrin" e altre opere del genere? Non sono mai stato un ammiratore e per fortuna non ha avuto molto a che fare con Verdi. Per quanto riguarda gli ascolti della L Albanese e la menzione della Ponselle dove dici che non sono proprio esemplari, non sarei d'accordo. Il canto e il modo di esprimere di quell'epoca permetteva certe cose. Io le acetto così e mi godo la loro espressività che forse lavorava meglio in teatro che all'ascolto.
Che ne sapevano loro che nel 2009 ci si doveva ascoltare le loro prestazioni dal vivo sognando altre epoche e che il "business" del mondo discografico avrebbe raggiunto proporzioni oggi - allora impensabili. C'era la radio. La televisione stava iniziando. Loro cantavano (recitavano) per il calore del "momento" e basta.

silvio ha detto...

ridda d'ascolti veramente interessante e anche, ripeto, istruttiva. Come Schipa e Jadlowker affrontano il ruolo, come lo intendono e lo rendono... altri anni, nettamente. Ma anche altra serietà e tecnica. Lo stesso Roswaenge è perfettamente in ruolo, altro che l'impresentabile Caufman...

pasquale ha detto...

justimile hai ragione io vorrei ascotare per esempio la Ponselle adesso con la tecnica attuale eppoi anche in teatro.
Se nelle registrazioni approssimative di quegli anni la voce si sente in quel modo figuriamoci in uno studio moderno che resa avrebbe.
Poi ampliando un pò il discorso senza banalità vorrei vedere la faccia che farebbero i vari Rossini,Bellini Donizetti Verdi ecc. se per una magia potessero essere catapultati ai giorni nostri e vedere le loro composizioni come vengono eseguite,ascoltare delle registrazioni,come vengono recitate nei teatri,embè chissà se un giorno inventono la macchina del tempo cosi tanti dubbi verrebbero sciolti....

Domenico Donzelli ha detto...

carissimi tutti,
pure io vorrei ascoltare dal vivo la violetta della ponselle. Anche se riferito al personaggio verdiano preferirei, munito della macchina del tempo, sentire le coeve muzio e galli curci.
Quest'ultima mi da la possibilità di rilevare che quando il cosiddetto sopranino sa cantare può essere violetta, credo senza problemi, anche con un alfredo robusto e quasi baritonale, come appunto accadde al soprano milanese al Colon di Buenos Aires nel 1915.
Per contro un Alfredo "leggero" come Schipa canto con la Cigna!
E' come sempre e chiedo perdono per quanto sono monotono questione di proiezione del suono.
grazie a tutti per l'apprezzamento
saluti dd.

silvio ha detto...

infati, caro Donzelli, di una interpretazione come quella di Schipa si sente ogni brivido, ogni leggero movimento, perchè tutto è perfettamente proiettato e appoggiato e dunque non c'è bisogno di gridare come un "briaco ribaldo"... ma il fatto che i cosiddetti spinti rispettassero una tale varietà e avessero simili attenzioni, questo per il giorno d'oggi secondo me è ancor più istruttivo.

emanuele ha detto...

Buongiorno.
Manca all'appello però l'afredo più elegante, stilizzato, raffinato, quantomeno della storia del disco: Ivan Kozlovsky. Da sentire il suo attacco dell'aria del II atto: un autentico miracolo che si lascia alle spalle tutti gli altri (ma proprio tutti).
Con ciò non voglio sminuire gli eletti da voi citati. ma mi piace anche l'idea di riattivare, lo spazio di un piccolo blog, la storica rivalità fra kozlovsky e lemeshev.
cordiali saluti a tutti.

Emanuele